La campagna vaccinale

Vaccini Covid, ecco lo studio “tombale”: “Nei giovani rischio miocardite più alto”

L’analisi di Jama Cardiology su 23 milioni di giovani tra 12 e 24 anni. Moderna il vaccino con più rischi

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di Maddalena Loy

Distratti o rassegnati all’evidenza scientifica? Non ha avuto grande risalto sui quotidiani nazionali l’ultimo studio, definitivo e “tombale”, che stabilisce che il rischio di miocardite è più alto nei giovani vaccinati con mRNA (Pfizer e Moderna) rispetto ai giovani non vaccinati (che hanno contratto Covid). Si tratta di una metanalisi pubblicata pochi giorni fa da Jama Cardiology, una delle più autorevoli riviste scientifiche al mondo, su studi di coorte effettuati in quattro Paesi  (Finlandia, Svezia, Danimarca e Norvegia) con un campione di ben 23 milioni di ragazzi dai 12 ai 24 anni. Le conclusioni non lasciano spazio a repliche: “Il rischio di miocardite è più alto nei giovani vaccinati rispetto a quelli non vaccinati, ed è ancora più alto in chi ha fatto la seconda dose rispetto a chi ha fatto la prima dose”. Non solo: dei due vaccini, quello di Moderna comporta più rischi rispetto a Pfizer e il rischio è più alto tra i giovani di sesso maschile tra i 16 e i 24 anni.

Gli studi sulle miocarditi

Come sappiamo, sia Fda che Ema hanno stabilito che, anche nei ragazzi, i benefici della vaccinazione superano i rischi: nelle conclusioni della metanalisi, Jama scrive che “il rischio di miocardite accertato dovrebbe essere bilanciato con i benefici della protezione contro il Covid”, un invito forse a riconsiderare la forte pressione sulla vaccinazione dei giovani, riscontrata in tutti i Paesi occidentali. Non è la prima volta che la scienza si esprime sulle miocarditi da vaccino: uno studio del Journal of Pediatrics, ripreso dal Wall Street Journal, ha riferito anomalie cardiache (riscontrate con risonanza magnetica 3-8 mesi dopo la vaccinazione) nel 69% dei bambini con miocardite post vaccino.

Lo strano caso dell’Italia e di Moderna

Non è l’unica novità: nei mesi che hanno fatto seguito all’autorizzazione del vaccino Pfizer dai 12 anni in su, e di quello Moderna dai 18 anni, sono molte le evidenze scientifiche che hanno in parte sconfessato l’utilità della vaccinazione nei giovani. L’anomalia italiana dei giovanissimi vaccinati con Moderna resta sempre attuale. L’Fda ha autorizzato questo vaccino dai 18 anni in su (e pour cause: la dose ha una maggiore concentrazione di mRNA). EMA già a dicembre ha reso pubbliche le considerazioni della Commissione di Farmacovigilanza sul rischio di miocardite e pericardite con i vaccini mRNA, evidenziando che con Pfizer il rischio nei giovani maschi è valutabile tra 26 e 57 su un milione, con Moderna è tra 130 e 190 per milione. Ebbene, cosa ha fatto l’Italia? Ha somministrato Moderna sin dai 12 anni. Per diverse settimane, a partire dal 29 novembre, almeno il 50% delle dosi somministrate ai giovani della fascia 12-19 anni è stato Moderna, con un picco nella penultima settimana di dicembre, quando le somministrazioni di Moderna ai ragazzi hanno quasi raggiunto quelle di Pfizer. E ancora oggi, il 6% dei vaccini somministrati ai 12-19enni e il 25% di quelli ai 20-29enni è ancora Moderna.

Il booster serve?

E’ accertato inoltre, dagli stessi dati che pubblica ogni settimana l’Istituto Superiore di Sanità, che la terza dose non comporta un vantaggio per chi ha fino a 39 anni: anche nella settimana del 16 aprile, 9,2 su 100mila giovani tridosati sono stati ricoverati, mentre i giovani senza terza dose ricoverati sono stati 7,6 su 100mila, il 17% in meno. Non a caso, almeno fino a febbraio 2022, Ema NON ha raccomandato la terza dose ai minori di 18 anni, mentre in Italia i ragazzini dai 12 anni in su vi si sono sottoposti almeno dal 6 dicembre 2021, ossia da quando è diventata necessaria per ottenere il super green pass e accedere ai diritti sospesi.

Ancora tutti da chiarire, infine, i dettagli sulla diffusione di epatite acuta in bambini sotto i 10 anni, partita dalla Scozia.

Tutte queste considerazioni resterebbero confinate nell’alveo di noiose pubblicazioni scientifiche se la vaccinazione antiCovid dei giovani fosse un atto volontario, senza alcuna pressione da parte delle istituzioni. Ma quando, con l’introduzione del green pass, le famiglie italiane, caso pressoché unico al mondo, sono state messe di fronte all’alternativa di far fare ai propri figli una vita normale (accedere ai trasporti, fare sport, andare a musei ed eventi, o anche semplicemente mangiare una pizza con i compagni) o, invece, ghettizzarli in quanto non vaccinati, la “scelta” dei genitori italiani è stata obbligata. Sono stati pochi, però, quelli che hanno deciso consapevolmente di non vaccinare i propri figli a fronte di una mortalità da Covid praticamente inesistente (lo 0,0003%) nella fascia 0-19 anni. Un po’ meno entusiasta l’adesione alle terze dosi, che nel nostro Paese sono state somministrate “solo” al 44% dei giovani della stessa fascia d’età.

Sia chiaro: soltanto in Italia Aifa e istituzioni hanno abbracciato entusiasticamente la vaccinazione di massa di bambini e ragazzi, al punto da dichiarare pubblicamente, come ha fatto Giorgio Palù, che “il Covid è diventato una malattia pediatrica” (sic). Regno Unito, Norvegia e Taiwan hanno sospeso le somministrazioni della seconda dose di mRNA sugli adolescenti e in Norvegia le somministrazioni ai guariti di 12-15 anni sono state bloccate; la Danimarca è tornata sui suoi passi sulle dosi dai 5 agli 11 anni, così come la Svezia. In altri Paesi europei, enti regolatori come lo Stiko tedesco e il JCVI britannico hanno provato a fare muro contro le forti pressioni dei rispettivi governi pro vaccinazione di massa dei giovanissimi. Non ci sono riusciti, ma almeno ci hanno provato.

Maddalena Loy, 27 aprile 2022

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