Vaccino: la Merkel dimostra che l’Europa non esiste

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La commedia geopolitica del vaccino è oggettivamente divertente, perché spazza via retoriche iperstratificate nel mainstream. Da oggi, ad esempio, nessuno potrà più usare l’espressione “Unione Europea” senza arrossire d’imbarazzo, o lasciarsi andare ad una risata. E il merito è principalmente di colei che gli europeisti nostrani sono soliti sbandierare come madrina illuminata, Angela Merkel. La Cancelliera diga immaginaria contro tutti i “sovranisti” continentali (quelli isolani e anglosassoni come Boris Johnson hanno salutato ufficialmente la compagnia proprio in questi giorni, e incredibilmente la Gran Bretagna non è ancora sprofondata nel Mare del Nord) ha sfoggiato l’atto più sovranista possibile.

Il fatto è noto: il governo tedesco ha proceduto all’acquisto ulteriore di 30 milioni di dosi del vaccino Pfizer, negoziato autonomamente in via bilaterale, tra Stato e (maxi)azienda. Lo ha fatto appoggiandosi senz’altro al dato non irrilevante per cui il colosso tedesco BioNTech è partner strutturale della multinazionale americana. Lo ha fatto, soprattutto, derogando con nonchalance dal fantomatico “Accordo degli Stati membri per il reperimento del vaccino contro Covid-19” vidimato in giugno dalla Commissione Europea, che all’articolo 7 prevede espressamente l’ “obbligo di non negoziare separatamente”. Un approccio centralista e dirigista al vaccino che, guardacaso, si è rivelato subito fallimentare (chiedete ad Arcuri, costretto ad inventarsi una matematica alternativa per negare la risibile quantità di siero acquistato rispetto agli altri Paesi), e che Frau Merkel, da lustri il volto stesso del centralismo e del dirigismo europei, non ha esitato a gettare nella spazzatura della storia.

Perché l’europeismo è la via maestra se, e solo se, rimane amplificatore dell’interesse nazionale tedesco. Lei stessa lo teorizzò nel gennaio scorso in un’intervista al Financial Times non ripresa quanto meritava, visto che per una volta Angela dismetteva gli ornamenti euro-buonisti e andava alla ciccia reale: “L’Unione Europea è come un’assicurazione sulla vita, poiché la Germania è troppo piccola per esercitare influenza geopolitica nel mondo attuale”. Nel momento in cui cessa di essere un’“assicurazione sulla vita” per la Germania, e anzi diventa un impaccio burocratico rispetto alla tutela di vite tedesche, l’Unione Europea torna ciò che per Berlino è, un guscio vuoto, una chimera sentimentale, un auspicio mediterraneo. Qualcosa buono da citare mentre ci si sistema la pochette in conferenza stampa, un sintagma da sciogliere in qualche supercazzola generalista, insomma roba buona per Giuseppi e il Supercommissario, ormai un consolidato duo d’avanspettacolo. Niente di politico, in ogni caso. Nella politica, in senso pieno, tecnico, machiavelliano, ci sono gli Stati e le loro singole, ineluttabili, spesso confliggenti volontà di potenza.

È la straordinaria lezione di realismo politico che la Merkel infligge ai merkeliani di quaggiù, quelli che l’Europa unificata in Politburo è un grande incubatore di solidarietà tra i popoli, il superamento degli egoismi nazionali, la terra promessa della cooperazione continentale. Macché, conta solo chi comanda nel Politburo, e fino a quando il Politburo gli serve. Se si tratta di esistere come realtà geopolitica credibile in mezzo ai due giganti, l’America e la Cina, l’Unione e gli unionisti acefali come utili idioti della volontà di potenza tedesca vanno benissimo. Ma se si tratta di vincolare la Germania a regole e numeri sulla disponibilità del vaccino, cantatevi le vostre euroliroche da soli, io ho altro da fare, ho da governare un popolo e da rispondere ad esso, ci dice in questi giorni la Cancelliera. Faccio politica, mica Dpcm.

La notizia di Capodanno è epocale: l’Unione Europea non esiste. Non ce l’ha data quel buzzurro di Donald Trump, né quel pagliaccio di Boris Johnson, non sta nemmeno in qualche becero tweet di Salvini o della Meloni. Ma reca il timbro autorevolissimo, competentissimo, “europeissimo”, di Angela Merkel. Sic transit gloria mundi.

Giovanni Sallusti, 30 dicembre 2020

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