Viva Donald che premia la curva della libertà

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Grazie, Donald. Barack Obama, vezzeggiato dagli intellò di mezzo mondo, era solito conferire la Medaglia presidenziale della Libertà, massima decorazione americana, a divi di Hollywood, star della tivù, giocatori della Nba. Donald Trump, l’illetterato, l’ha appena conferita a uno dei più grandi economisti viventi, Arthur Laffer. Proprio lui, l’inventore dell’omonima curva che dimostra come la pressione fiscale quando supera una certa soglia, quando diviene saccheggio compulsivo di ricchezza, diventa controproducente per le stesse casse pubbliche. Il gettito diminuisce perché aumenta l’evasione di sopravvivenza, e perché non è più conveniente lavorare e intraprendere per vedersi espropriati pressoché in toto delle proprie fatiche.

Vuole la leggenda che Laffer disegnò la sua famosa curva su un tovagliolo del ristorante Two Continental di Washington, in un pomeriggio del 1974, per spiegarla a due giovani rampanti dell’élite repubblicana, Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Ma è con la presidenza Reagan che Laffer arriva all’apogeo: la sua curva costituisce l’ossatura di partenza della Reaganomics, del grande rivolgimento liberista e produttivista dopo gli anni depressivi di Carter. Qualche numero al termine dei due mandati Reagan, all’insegna del radicale abbattimento delle tasse (l’aliquota massima passò dal 70% al 31%): la percentuale di famiglie ricche aumentò di un quarto, l’indice di miseria scese dal 19% al 9%, le entrate federali si incrementarono del 60%, l’economia americana crebbe di un valore pari all’intera economia del Giappone.

Come ha detto Trump premiandolo “poche persone nella storia hanno rivoluzionato le teorie economiche come Arthur Laffer. Le sue idee hanno creato maggiori opportunità per gli americani”. Idee che sono anche alla base dello choc burocratico-fiscale con cui The Donald ha liberato di nuovo gli spiriti del capitalismo Usa, il più grande choc proprio dai tempi di Ronnie.

Così lo spiegava Laffer in diretta, mentre era tra i consiglieri che elaboravano la drastica riduzione trumpiana di 15 punti delle imposte sulle imprese, accompagnata da una convinta deregulation: “La funzione di stimolo all’economia sarà notevole, le aziende investiranno, assumeranno, pagheranno meglio i dipendenti”. È quello che sta avvenendo: in America c’è la sostanziale piena occupazione, il Pil e i salari continuano a crescere. Laffer è anche la dimostrazione fisica che Trump non è quell’alieno populista rispetto alla tradizione repubblicana che ci hanno raccontato gli inviati (dai loro salotti) dei giornaloni nostrani, ma all’opposto è il punto di arrivo di una storia coerente nella destra americana. Semplificandola: meno tasse, più ricchezza, più libertà.

Giovanni Sallusti, 20 giugno 2019

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