Che smacco per la sinistra: Zaki libero col governo Meloni

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zaki graziato

La rosicata è di quelle importanti. Dopo anni passati ad esporre cartelloni sui palazzi comunali. Dopo anni di appelli caduti nel vuoto. Dopo votazioni discutibili sulla cittadinanza a Patrick Zaki. Alla fine ad ottenere la grazia, la liberazione e la libertà di viaggiare in Italia per lo studente egiziano è un governo di destra. O meglio, è un successo diplomatico e politico di Giorgia Meloni che è riuscita lì dove né Conte né Draghi si erano neppure avvicinati.

Che la vittoria meloniana bruci eccome a sinistra lo si capisce da innumerevoli segnali, nonostante la gioia per la liberazione dello studente neo-laureato a Bologna. Lo si capisce dall’apertura odierna di Repubblica, che parla di “baratto” tra la liberazione di Patrick e il silenzio sul caso di Giulio Regeni, non riuscendo proprio a dare a Cesare cioè che è di Cesare. Che poi sarebbe banalmente ciò che invece scrive La Stampa ammettendo a denti stretti che “tutti quelli che in questi tre anni hanno tenuto viva l’attenzione dell’opinione pubblica italiana devono ringraziare oggi Giorgia Meloni, premier di un governo di destra capace di negoziare con le ostili autorità del Cairo”. Un successo in trasferta, in un campo che molti pensavano non fosse proprio quello di donna Giorgia.

A giocare un ruolo determinante nella liberazione di Zaki sono state la diplomazia e l’intelligence. “Non c’è nessun baratto su Regeni, nessuna trattativa sottobanco – ha spiegato Tajani – Il governo è stato in grado di far tornare in Italia un giovane ricercatore che rischiava di stare ancora un pò di tempo in carcere”. A favorire la soluzione è intervenuta sicuramente la crisi del grano che rischia di colpire il Cairo, così dipendente dalle esportazioni ucraine prima della guerra. Ma l’Italia ha offerto collaborazione anche su istruzione e lotta al terrorismo. In generale la strategia ad aver pagato: anziché la contrapposizione, anziché chiudere le relazioni, si è preferito dialogare, cercare un compromesso, collaborare. Il ministro degli Esteri è stato due volte al Cairo. Quando a novembre del 2022 Meloni e Al Sisi si incontrarono in occasione dalla Cop27 a Sharm-el-Sheik, la prima volta di un premier in Egitto da quando il corpo di Regeni venne trovato senza vita, la sinistra tutta criticò la striminzita “riga e mezzo” a fondo comunicato dedicata ai due casi giudiziari. Già allora si parlò di un’ombra nera nel bilaterale, le critiche sul governo “distratto per non dire assente, sui diritti umani” piovvero a iosa. Il verde Bonelli parlò di “incontro indecente”. Ma Italia e Egitto cercavano accordi sul gas e sui migranti, su elettricità e grano, e la realpolitik a volte chiede di fare buon viso a cattivo gioco. E di evitare contrasti.

Quei contrasti che, per ragioni di politica interna spicciola, alcuni stavano invece alimentando a poche ore dalla condanna imposta dal tribunale di Mansura a Zaki. Basta andare a rileggersi le dichiarazioni invecchiate malissimo a nemmeno 24 ore di distanza. Conte: “Ci aspettiamo azione dal governo su Zaki”. Schlein: “Il governo si attivi con tutti gli strumenti per ottenere la liberazione. Chiediamo al ministro Tajani di venire a riferire in aula”. Filippo Sensi, senatore Pd: “Un orrore senza fine il governo italiano può essere fiero del suo silenzio, della sua assenza”. Il giorno dopo, Zaki è libero. Il rospo da mandare giù per la sinistra non è mai stato così indigesto.

Franco Lodige, 20 luglio 2023

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