3 motivi per cui è giusto che Rula non vada a Sanremo

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Dunque, Rula non “canta” più. Nel senso che Rula Jebreal, la giornalista nota per le posizioni pro Palestina e anti Usa, diversamente dalle indiscrezioni circolate nelle settimane passate, non dovrebbe più partecipare al Festival di Sanremo accanto al conduttore Amadeus. Ne hanno dato notizia i quotidiani di ieri e di oggi, riferendo quella che sarebbe la decisione finale della Rai. Nell’ultimo mese, a partire da un’indiscrezione della sempre benemerita Dagospia, si era invece ipotizzato un intervento della Jebreal: in un primo momento, si era detto, come una delle presenze femminili al fianco del conduttore; in un secondo momento, si era aggiunto, nel quadro di una ipotetica intervista con Michelle Obama.

Lungi da me “cantare” vittoria per questa decisione della Rai, che auspicavo e che ritengo opportuna. Io stesso, infatti, insieme con il professor Marco Gervasoni e altre voci, avevamo espresso perplessità sull’eventuale sortita sanremese della Jebreal, che è il caso di ribadire e precisare a scanso di equivoci. Nessuna voglia di censura, nessuna campagna aggressiva nei confronti di chicchessia, e – meno che mai – nulla di personale verso la Jebreal (nonostante le sue infelicissime dichiarazioni e tweet contro l’Italia, i presunti rischi di fascismo, ecc). Ma solo tre considerazioni semplicissime.

Primo. Il Festival di Sanremo è uno spettacolo di intrattenimento. Non si capisce per quale ragione vi si dovessero inserire presenze politicamente connotate e divisive. Il punto non è se tali presenze dovessero essere di sinistra o di destra, pro Palestina o no. La questione è di fondo: è scorretto usare uno spazio di intrattenimento per infilarci comizi di parte (di qualunque parte).

Secondo. Tutti sembrano dimenticarlo, ma la Rai è (dovrebbe essere) un servizio pubblico, purtroppo tuttora pagato dai contribuenti attraverso il canone. Chi scrive è e resta per la privatizzazione. Ma proprio chi – invece – difende il servizio pubblico com’è oggi, dovrebbe essere il primo a dire no a una tradizione pluridecennale di faziosità e lottizzazioni, di propaganda orchestrata dalla maggioranza del momento (tendenza di fondo alla quale non si è sottratto praticamente nessun governo).

Terzo. Volete la Jebreal? Benissimo: la si inviti (in contraddittorio, please) in spazi di approfondimento politico e giornalistico, in cui la sua opinione (e quella di chi la pensa come lei) si confronti ad armi pari con chi la pensa in modo opposto: su Trump, su Israele, sull’Occidente, sull’immigrazione, sulla politica italiana. Sì a dialoghi e contraddittori (nelle sedi opportune), no a monologhi nei programmi di intrattenimento.

Daniele Capezzone, 6 gennaio 2020

 

 

 

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