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Aboliamo gli esami di maturità

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Il Ministro sembra in ambascia per gli esami di maturità. La disgrazia del Coronavirus potrebbe essere l’occasione per abolire una volta per tutte codesti esami. Sebbene i media vi diano una immeritata risonanza, spesso creando un’ingiustificata atmosfera da timor panico, questi esami, sono – diciamo la verità – un evento marginale della vita sia collettiva del Paese che personale degli studenti.

Anche se questi, sul momento, possano viverlo (e come potrebbe essere diversamente?) non senza una qualche emozione. Solo Luigi Berlinguer, poco dopo che divenne ministro all’Istruzione, dichiarò testualmente, lasciando tutti allibiti: “Quella degli esami di maturità, cari studenti, è stata la prova più difficile della mia vita”.

Una volta, con commissioni esterne composte da docenti da varie parti d’Italia, v’era una sorta di confronto nazionale, molto proficuo, tra gli insegnanti. Oggi non è più così. I commissari “esterni” sono, di fatto, insegnanti della porta accanto, e non è ben chiaro a chi o a cosa serva questo mega-esame il cui esito, in ogni caso, è scontato, perché non può dipendere da nulla se non dal curriculum dello studente.

Fu circa venticinque anni fa che volli fare l’esperienza di presidente di commissione a questi esami: lo feci per tre anni di seguito, una volta in Sicilia, una volta a Trieste e una volta a Roma. Fu un’esperienza istruttiva, con quella di Roma che mi fece comprendere il senso dello slogan della Lega, quello che cantilenava che la Lega a Roma non perdona. Da presidente di commissione m’ero dato due regole: 1) non avrei bocciato nessuno e 2) avevo deciso il voto degli studenti prima ancora che sostenessero l’esame.

La prima decisione aveva un razionale: se la scuola, che conosceva lo studente da almeno 5 anni, aveva reputato di ammetterlo agli esami (era infatti prerogativa della scuola non ammettere lo studente ritenuto immeritevole), chi eravamo io e il resto della commissione – che dello studente avrebbe conosciuto solo l’esito di due prove scritte e una chiacchierata di mezz’ora – per tenerlo un altro anno sui banchi di scuola? Trovavo grottesco che la responsabilità che non intendeva assumersi la scuola che conosceva lo studente da molti anni potesse ricadere su una commissione di ultimi arrivati.

Il razionale della seconda decisione era a un di presso lo stesso: due prove scritte e una chiacchierata di mezz’ora non potevano gran che alterare – né in bene né in male – un curriculum di anni di studi. Fu così che, con lo stupore di tutti (25 anni fa non era previsto di tener conto del CV degli anni precedenti), mi feci consegnare le pagelle degli studenti degli ultimi 3 anni: con pazienza le usai per formulare il voto che avrei dato agli studenti, lasciando l’incertezza di uno scarto più o meno tre sessantesimi (il massimo voto era allora 60) per il voto finale, in funzione dell’esito della prove. Il sistema sparigliava le carte di chi voleva servirsi delle raccomandazioni (che, a Roma, non mancavano) ma, finita la tribolazione, i commissari interni, tutti, mi ringraziarono perché, dissero, “ognuno aveva avuto il suo”.

Tornando al Coronavirus, la mia proposta è semplice: quest’anno (in via sperimentale – ma cosa c’è in Italia di più definitivo del provvisorio?) si aboliscano gli esami di maturità. Si faccia, per ogni studente, un gran totale col profitto di tutte le materie degli ultimi tre anni. Dico la media, null’altro che la media, con pari dignità per ogni disciplina. Se si vuole, si può inserire un fattore correttivo che tenga conto del fatto che lo studente, nel corso degli anni, abbia fatto progressi o abbia regredito.

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