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Al soldo non si comanda: bentornata Egonu nell’Italia “razzista”

Paola Egonu torna in Italia dopo l’esperienza in Turchia: contratto con il Vero Volley di Monza

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Egonu Egonu perché sei tu Egonu. Un radioso mattino di fine maggio, il mese più torrido e soprattutto arido da quando inventarono il riscaldamento globale, finisce lo strazio, ultima puntata della telenovolley: Paola Egonu torna in Italia, il paese di merda “dove non farei mai un figlio”, ipse dixit. Ieri era ieri, altri pensieri, tu chiamalo se vuoi orgasmo festivaliero, la schiacciatrice, un po’ fuori campo, con simili uscite e i suoi manager, consulenti all’immagine, armocromisti che le sussurravano: Paolina, forse non è la maniera migliore per preparare il tuo ritorno. Perché era già tutto previsto dopo l’anno sabatico in Turchia, nota patria dei diritti umani in cui Egonu ha retto un anno ma soprattutto l’hanno retta un anno, perfino loro, i turchi: al Vafibank di Istanbul dopo una stagione le hanno detto vafankul e lei armi e bagagli, si turata il naso ed è tornata in patria. Perché questa, anche se “di merda”, è la sua patria. Poi, si sa, i verdoni non sono bianchi e non sono razzisti. Sono ecumenici. E fanno tutti felici. Così si esaurisce la telenovela su Egonu che io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. Arriva al Vero Volley, club sull’orlo di una crisi di scudetto, vedremo se questa volta con la Lunga lo acchiapperà.

Brava, è brava. Più antipatica che brava, e ho detto tutto. Ci vorrà pazienza anche ai milanesi del Vero, perché una così appena arriva ricomincia coi capricci & divani, come faceva in Nazionale, come farebbe anche da sola in un deserto: è la natura, è il carattere, sono i geni. “Voglio tutto e subito”, come ha spiegato a Sanremo. Un progetto di vita, ma che ci vogliamo fare? Va così, ormai la religione è questa, io sono il mio Dio e in ogni modo questa è una fuoriclasse e noi ai fuoriclasse come san Francesco crediamo poco, ci stanno anzi sulle palle, non è vero che, come diceva l’Uomo Ragno, da grandi poteri derivano grandi possibilità, da grandi poteri deriva una grande stronzaggine. E così sia. Poi fai contenti milioni di tifosi e tout est pardonné. Ed è sempre così, c’è ben poco da dire. Milano, a proposito. Questa città razzista, non più razzista perché ormai la fanno da padroni tutti meno che gli indigeni, le cui donne hanno ormai solo il diritto di essere violate a passo di carica ogni santo giorno, sui treni, in stazione, fuori dalla stazione, per la strada, in fila allo sportello. Ma tanto a Egonu che le frega, lei magari la mettono a City Life, dirimpettaia dei Ferragnez, di Chiara che diceva che “a sentire le amiche, qui non si può più vivere”. Se ne adontava l’arcosindaco, ma almeno quella volta aveva ragione la influencer, in base alla regola dell’orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora giusta.

Per approfondire

Paolina la Lunga è felice, sorride scintillante dalla copertina di Donna Moderna, e grazie tante e grazie all’ingaggio: l’operazione simpatia è partita subito, un milione a stagione più gli sponsor che sono anche più importanti perché son quelli che ti blindano: se vuoi diventare intoccabile, trovati uno sponsor, anzi tanti sponsor, perché sono loro a comandare sui giornali e nessuno può averli contro. Volendo, pure questo sarebbe razzismo, vagamente, ma stai a spaccà il capello, poi ti dicono rosicone, tu non ce li hai i soldi suoi, ed è tutta gens compagna, che si piega a 90 al materialismo storico, più che dialettico, e nemmeno se ne avvede. Avanti popolo, alla riscossa, Paola la rossa trionferà. Speriamolo per lei, per il Vero, per noi tutti. Se ce la fa, sarà solo merito suo, se toppa sarà il contesto sbagliato, le condizioni che mancavano per giocare in serenità, il paese di merda razzista. Ma Egonu ha promesso: sarò leggera, sicura, easy, antirazzista, vincere e vinceremo. Dai, che poi Mattarella ti fa cavaliera. La morale, in ogni modo, è sempre quella: a mandare d’accordo le umane genti, di tutte le tinte, a mixare i colori delle pelli e delle ideologie, dei pregiudizi e della giusta ambizione, è sempre lui, il Mercato. Odiato, incolpato, schifato, magari pure responsabile di svariate nefandezze, ma pensate se non ci fosse, pensate se una povera campionessa vittima di razzismo dovesse giocare e vivere e parlare, anzi tacere, come in Romania ai tempi di Nadia Comaneci. E allora torna, Paoletta, ‘stu paes emmerda aspiett’attè.

Max Del Papa, 31 maggio 2023