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Allende buono, Pinochet cattivo: era proprio così?

© sezer ozger tramite Canva.com

L’altra sera ho trovato in internet il film del 1947 La Certosa di Parma, un b/n con Gérard Philippe e l’ho guardato. Il motivo per cui l’ho fatto è presto detto: sono tanti i classici che non ho letto e che, presumibilmente, non leggerò mai per mancanza di tempo. Così, quando ne cavano un film, mi dico: be’, almeno saprò di che cosa parla in quel romanzo tanto celebrato.

Infatti, La Certosa di Parma è un classico di Stendhal: ne ho sempre sentito parlare ma non l’ho mai letto. E, ora che so qual è la storia, mai leggerò. Pazienza se il film si discosta dall’originale, se il finale è magari diverso, se il regista ha modificato qualcosa di importante. Non lo saprò mai. Né mi importa più di tanto saperlo. Come ho detto, non c’è tempo. E non si può leggere tutto. Riguardo La Certosa di Parma, però, quantunque il romanzo sia contemporaneo di quelli di Hugo e Dumas, quello del 1947 è, che io sappia, l’unico film da grande schermo. Può darsi ci sia stato qualche sceneggiato televisivo, non so. Pensate invece alle innumerevoli versioni cinematografiche de I miserabili e I tre moschettieri, Il conte di Montecristo e Il gobbo di Notre Dame. Come mai? Forse c’entra la riscrittura politica della storia? Ma anche Stendhal era di sinistra, la sinistra di allora. Boh.

Voi vi chiederete come mai io stia parlando di questa roba. È presto detto. Quest’anno cade il cinquantenario del golpe di Pinochet e, a quanto ne so, può darsi che sia in lavorazione un film ad hoc. Ovviamente, dato che la cinematografia è in mano alla sinistra anche in Sudamerica, la campagna è già partita e quel che conta è che le nuove generazioni, che ragionano come ho fatto io col film de La Certosa di Parma, siano imbonite sul binomio Pinochet=cattivo, Allende=buono. Ma la vecchia generazione sa che le cose erano un tantino più complicate. Allende, comunista, andò al potere grazie all’esperimento di compromesso storico col democristiano Frei. E, essendo la società cilena paragonabile come composizione e mentalità a quella italiana, Berlinguer su Rinascita, la rivista intellettuale del Pci, scrisse un dotto editoriale significativamente intitolato «La lezione cilena».

Allende, da buon comunista, organizzò una vasta alleanza che fece presto a egemonizzare, e il Cile con lui stava diventando la Cuba continentale. Ricordo il grande sciopero dei camionisti del rame, l’oro cileno, e quello «delle pentole», con le massaie, ridotte alla fame pure loro, che andavano a gettare il granturco alle porte della caserme, dando con ciò dei vigliacchi («galinas») ai militari che non intervenivano. E i militari alla fine intervennero. Ma se le generazioni successive alla mia (e bastano pochi anni perché un ragazzino diventi adulto) sanno tutto dei «desaparecidos» delle dittature sudamericane e niente dell’altro lato della medaglia è perché il cinema internazionale fa quello che fanno da noi gli Istituti per (lo studio del) la Resistenza, che tutto fanno tranne che discostarsi dalla mera apologia.

Chi controlla il passato controlla il futuro: la lezione di Orwell non è servita e non serve a niente. I destri, anche se al governo a furor di popolo, non ricordano la lezione del Duce: «La cinematografi è l’arma più forte», scritta che campeggiava sulla neo-fondata Cinecittà e subito seguita dal Festival di Venezia, il primo al mondo. E, se se la ricordano, hanno paura di mostrarsi «nostalgici». Chi ha in mano la narrazione può anche perdere qualche elezione, ma i marxisti ragionano in termini di eternità, mica di scadenze elettorali.

Rino Cammilleri, 16 settembre 2023