Alta tensione al summit Nato: Trump sferza gli alleati e smaschera l’ambiguità tedesca sulla Russia

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Avremo un quadro più completo dopo la visita a Londra e il vertice con Vladimir Putin a Helsinki, ma in questi giorni a Bruxelles il presidente americano Trump ha di nuovo spiazzato, e persino terrorizzato gli alleati Nato, evocando una clamorosa rottura. C’è voluta una riunione d’emergenza dei leader per ritrovare unità d’intenti, almeno a parole. Solo con il tempo capiremo se, per dirla con il premier belga Michel e lo stesso Trump, dalla discussione “fuori dai denti” che c’è stata è uscita una Nato “più forte di due giorni fa”. Rinnovato il “forte impegno” degli Stati Uniti nell’Alleanza, ma dietro altrettanto forte impegno degli alleati inadempienti ad arrivare prima possibile alla quota del 2 per cento del Pil di spesa militare. Trump canta vittoria e cita i dati forniti dal segretario della Nato Stoltenberg: da quando è alla Casa Bianca, gli alleati già stanno spendendo 41 miliardi di dollari in più.

Il livello di tensione raggiunto può sorprendere solo chi è ancora avvolto in un velo di ipocrisia, o fa ancora orecchie da mercante, sulle questioni che da anni (da molto prima di Trump) affliggono la Nato e i rapporti tra Europa e Stati Uniti. I nodi sono politici e si tengono insieme: gli squilibri esistenti (su commercio e sicurezza), che gli europei danno per scontati, come fossero elementi costitutivi dell’alleanza, non sono più sostenibili in una nuova fase geopolitica che vede il focus strategico degli Stati Uniti sempre più spostarsi verso l’Asia: il vero rivale del XXI secolo è la Cina. Per anni sono caduti nel vuoto i richiami, dai toni diplomatici e gentili, dei presidenti Bush jr e Obama. La brutalità di Trump è il risultato di quasi due decenni di frustrazione americana. Un brusco risveglio. Se vogliamo che la Nato continui a esistere, e Washington continui a contribuire alla sicurezza europea, un riequilibrio è non solo necessario ma urgente.

La narrazione mainstream di questi due anni ha presentato Angela Merkel come un argine contro il populismo e il putinismo, mentre Trump come il populista pronto ad abbracciare Putin per dividere l’Europa (cosa che l’Europa sa fare benissimo da sé). Ma è una narrazione che non regge all’analisi di numeri e fatti.

L’aumento del budget del Pentagono. I piani di modernizzazione delle forze armate e dell’arsenale nucleare Usa. Le nuove sanzioni contro Mosca. Le armi all’Ucraina. I raid in Siria. L’ingresso del Montenegro nella Nato e i negoziati con la Macedonia. E last but not least la nuova politica energetica dell’amministrazione Trump (per fare degli Usa produttori netti di shale gas). Tutte politiche che suggeriscono un confronto con Mosca, non un cedimento. E quando il presidente Usa rimprovera alla Germania i suoi accordi energetici con la Russia, chiedendo alla Merkel di rinunciare al Nord Stream 2, non sembra esattamente seguire le istruzioni di Putin. Politiche che gli europei bollano come inutilmente militariste e anti-ecologiche, ma che elevano la deterrenza Usa nei confronti di Mosca, riducono la capacità di Putin di intimidire e condizionare i Paesi dell’Europa dell’Est e dei Balcani, esponendo invece le ambiguità europee, soprattutto tedesche.

Dovrebbe ormai essere chiaro che se c’è qualcuno che flirta pericolosamente con la Russia di Putin, senza peraltro averne i mezzi, le necessarie “leve”, non è da cercare a Washington, ma a Berlino. E molti dei partner Nato condividono tale lettura. Né si può onestamente sostenere che sia l’acrimonia con la quale si esprime il presidente Trump a spingere Berlino verso Mosca, dal momento che l’attuale Ostpolitik tedesca risale almeno ai tempi in cui in tutta fretta, prima di lasciare il suo incarico, l’allora cancelliere Schroeder approvò il Nord Stream I, per poi finire subito dopo al vertice del consorzio. La “deriva” di Berlino verso Mosca è iniziata ben prima che Trump arrivasse alla Casa Bianca, come ha ricordato Sohrab Ahmari su Commentary.

Se a parole, i principali leader europei, Merkel in testa, ostentano la loro preoccupazione per gli scossoni di Trump, paventano un disimpegno Usa dalla Nato, riaffermano l’importanza dell’Alleanza e mettono in guardia dalla minaccia russa, nei fatti sono i primi a non prendersi sul serio. L’impegno a spendere il 2 per cento del Pil nella difesa risale al summit Nato del 2014, ma solo una manciata di Paesi ad oggi lo rispetta. La Germania è ancora all’1,24 per cento, mentre grazie al suo surplus di bilancio potrebbe raggiungere il 2 domani. Eppure, l’assertività della Russia ai confini orientali dell’Europa non è una novità degli ultimi mesi. La guerra contro la Georgia per l’Ossezia del Sud risale al 2008, l’annessione della Crimea e l’invasione dell’Ucraina orientale agli inizi del 2014, l’intervento russo in Siria al 2015.

Di fronte a tutto questo, importanti esponenti di governo e leader politici tedeschi hanno ripetutamente bollato le esercitazioni Nato volte a rassicurare i membri dell’Europa centrale e orientale come inutili provocazioni e minacce di guerra. Il governo di Berlino si è persino opposto alla rotazione di forze corazzate della Nato in Polonia e nei Paesi Baltici, così come alla vendita di armi al governo di Kiev. E lo scorso 27 marzo, nel pieno della crisi Skripal, Berlino ha dato il suo via libera definitivo al Nord Stream 2. Washington ha minacciato sanzioni nei confronti delle aziende che partecipano al progetto, ma Merkel e Putin si sono detti determinati a “lottare” per esso.

Il problema di fondo è che la maggior parte dell’establishment tedesco, così come dell’opinione pubblica, vede la Germania più come un partner commerciale e diplomatico di Mosca che come pilastro dell’Alleanza atlantica, mentre non vede Mosca come una minaccia militare ed è contraria alle sanzioni. Come ricordava Egon Bahr, consigliere di Willy Brandt, spiegando la Ostpolitik, “per la Germania, l’America può essere indispensabile, ma la Russia è inamovibile”.

Così nella sua colazione di mercoledì con Stoltenberg, Trump è andato dritto al punto: “La Germania è prigioniera della Russia sull’energia e noi dovremmo proteggerla dalla Russia? Ce lo spieghi”. “Molto triste che la Germania concluda un imponente accordo su gas e petrolio con la Russia, pagandole miliardi su miliardi dollari l’anno, quando si suppone che noi dovremmo proteggerla dalla Russia. Non ha senso”. “Da loro compriamo solo il 37 per cento del gas”, si è difesa Angela Merkel. Solo?? A preoccupare non è solo l’attuale mix energetico tedesco, ma sono le tendenze future: avendo Berlino già assunto la decisione politica di uscire dal nucleare e dal carbone, che oggi ancora contribuiscono in larga misura al suo fabbisogno, è chiaro che la dipendenza dal gas russo non potrà che aumentare in modo esponenziale.

Commette un errore chi ritiene che dietro la richiesta di Trump ad Angela Merkel di rinunciare a Nord Stream 2 ci siano ragioni solo commerciali (venderle il gas Usa, che secondo i tedeschi costa il 20 per cento in più di quello russo). Offrendo il suo gas, Washington affronta anche una questione geopolitica e di sicurezza. Il Nord Stream 2 permetterebbe alla Russia di accrescere la dipendenza europea dal suo gas, già elevata (ben 13 i Paesi Ue che dipendono dal gas russo per oltre il 75 per cento, quasi la metà di quello consumato in Germania arriva da Mosca), e di isolare Polonia e Ucraina, che non solo perderebbero i diritti di passaggio, ma anche la leva strategica nei confronti di Mosca – poter bloccare, in caso di minaccia, il flusso di gas russo e quindi una quota significativa delle entrate nelle casse del Cremlino. Non può stupire quindi che nel progetto Nord Stream 2 (e non nell’incontro Trump-Putin di Helsinki) alcune capitali dell’Est vedano lo spettro di un nuovo patto Ribbentrop-Molotov per la spartizione della regione tra Germania e Russia.

Fonti repubblicane Usa citate da Ahmari sottolineano che “con il Nord Stream 2 la Germania sta facendo soldi mettendo l’Europa sotto l’egemonia energetica russa” e che “l’amministrazione Trump sta lottando con le unghie e con i denti per fermare il progetto”, così come una coalizione bipartisan del Congresso, ma i tedeschi rispondono che “è nel loro interesse nazionale e non cederanno”. Preoccupazioni espresse non solo da Washington, ma anche da molti partner europei e da Bruxelles, dalla Commissione e dallo stesso presidente del Consiglio Ue Tusk, non proprio un trumpiano (il gasdotto è “contro i nostri interessi strategici, la nostra sicurezza e le nostre regole”), a cui però finora Berlino è rimasta totalmente sorda.

Dunque, sottovaluta la situazione chi liquida l’approccio di Trump alla Nato come “mercantilista”, “condominiale” (se non siete in regola con i pagamenti, allora non ci conviene tenerla in piedi). Commercio, energia, contributo alla Nato. Sbaglia la Merkel, è tutto collegato, è tutta un’unica partita il cui obiettivo è un riequilibrio complessivo nei rapporti euro-atlantici, un adattamento dell’Alleanza al nuovo contesto geopolitico. Se la rivalità con la Cina sposta l’attenzione degli Stati Uniti verso l’Estremo Oriente, fedeltà e capacità militari degli alleati europei aumentano di importanza. Una soluzione negoziata su commercio e sicurezza, un nuovo equilibrio, porrebbe le basi per una rinnovata Alleanza transatlantica di fronte alla sfida alla democrazia liberale posta dalle potenze che promuovono un modello economico e politico autoritario (Cina e Russia). Viceversa, l’Europa si ritroverebbe sì a “fare da sola”, scoprendo però a caro prezzo quanto fosse velleitaria la sua prospettiva di “autonomia strategica”.

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