Bce chiude l’open bar monetario e apre lo scudo, alle condizioni dei “falchi”

La duplice decisione di compromesso: un rialzo dei tassi superiore a quello annunciato a giugno è stato il “prezzo” da pagare ai “falchi” per lo scudo anti-spread

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Nella riunione tenutasi giovedì, la Banca centrale europea (Bce) ha aumentato i tassi di interesse di 50 punti base. L’aumento pone fine ad un esperimento di costi di finanziamento sotto zero durato otto anni e ha sorpreso i mercati che si aspettavano un più moderato aumento di 25 punti base. Il rialzo rappresenta la prima mossa in tal senso dal 2011, nonché il più marcato rialzo in oltre 20 anni.

Lo scudo anti-spread

Sebbene i mercati siano stati colti di sorpresa dalla magnitudo del rialzo, la novità forse più interessante è rappresentata dall’adozione di un nuovo strumento, il cosiddetto scudo anti-spread, che mira alla “protezione della trasmissione” della politica monetaria (TPI, per la sua sigla in inglese) ossia a far fronte a qualsiasi balzo dei rendimenti obbligazionari dei singoli Paesi che oltrepassi una soglia che la Banca ritenga coerente con i fondamentali del Paese.

Il nuovo strumento, pensato per fronteggiare la frammentazione del mercato obbligazionario dell’area dell’euro, si tradurrà nell’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario per quei Paesi che dovessero sperimentare un “deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali specifici del Paese” – anche se l’istituto monetario non chiarisce cosa ciò significhi esattamente.

Come dichiarato dalla Bce, il nuovo meccanismo ha lo scopo di “sostenere l’efficace trasmissione della politica monetaria”, sebbene appare evidente che il vero scopo consiste nell’evitare che l’aumento dei costi di finanziamento del debito pubblico dei Paesi più fragili (vedi: Italia, ma non solo) inneschi una crisi del debito dell’Eurozona.

Ecco le condizioni

Detto TPI non viene gratis, ma anzi porta con sé delle condizioni potenzialmente impegnative (e salutari). La Banca cita quattro criteri, tutti relativi al regolare monitoraggio della politica fiscale ed economica europea, quali il rispetto del quadro fiscale europeo, l’assenza di gravi squilibri macroeconomici, la sostenibilità fiscale e del debito pubblico nonché politiche macroeconomiche solide e sostenibili così come definite dai programmi di riforma nazionali europei richiesti dall’European Recovery Fund.

Insomma, dietro pressione dei “falchi”, la Bce finalmente chiude l’open bar del credito e inizia (non solo a parole, si spera) a richiedere serietà fiscale a quei Paesi che vorrebbero vivere indefinitamente della manna monetaria.

Equilibrismo tra falchi e colombe

La duplice decisione rappresenta un compromesso tra falchi e colombe: un rialzo dei tassi superiore a quello annunciato a giugno è stato il “prezzo” che le colombe hanno dovuto pagare per il dispiegamento del meccanismo di assistenza agli stati iper-indebitati.

Tale rialzo potrebbe rivelarsi una mossa particolarmente azzeccata nel difficile percorso di ricostruzione della reputazione della Banca centrale europea, danneggiata a causa di un immobilismo nocivo e di previsioni rivelatesi costantemente e fortemente inesatte.

Una sterzata così decisa, sebbene probabilmente inadeguata a frenare l’inflazione nel breve periodo, potrebbe tuttavia fare recuperare alla Bce parte della credibilità perduta, riuscendo a convincere i mercati che fa sul serio e frenando così le aspettative inflazioniste.

Insomma, meglio tardi che mai, sperando che il “lavoro sporco” nel frenare l’inflazione lo faccia una politica monetaria rinsavita e non una recessione i cui segnali, tuttavia, sembrano moltiplicarsi.

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