Ponte sullo Stretto: occhio alle trappole di chi vuole azzerare di nuovo tutto

Bisogna ripartire dalla gara già svolta e dai contratti già stipulati. In un Paese serio e affidabile le grandi opere non possono essere una infinita tela di Penelope

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Il Consiglio dei ministri ha approvato recentemente un decreto legge che intende rimettere in moto la macchina per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e già è ricominciato il solito balletto polemico su questa grande infrastruttura.

La vigilanza oppositiva

Le danze stavolta sono state aperte addirittura dal commissario europeo per gli affari economici, Paolo Gentiloni, che dalle pagine di Repubblica ha indicato le “giuste” priorità al governo italiano: prima il Pnrr e solo poi, eventualmente, il ponte e la riforma fiscale. Inoltre, qualche commentatore ha scritto di riserve provenienti da ambienti istituzionali sulla scelta di ripristinare i contratti caducati.

Ovviamente non siamo sorpresi da questo tipo di intervento, sia per il carattere mitologico che è andato assumendo nella narrazione dominante il Pnrr, sia per il noto fenomeno di “vigilanza oppositiva” che talvolta proviene da soggetti politicamente neutri o sovranazionali.

Peraltro, il Ponte sullo Stretto ha dato vita negli ultimi decenni ad una netta contrapposizione tra i due principali schieramenti politici e quindi è anche fisiologico che chi è stato contrario all’opera, sospendendola o bloccandola quando ha potuto, continui ad esserlo; così come è normale che chi è sempre stato favorevole, lo sia ancora e operi conseguentemente.

Si precisa subito che questo articolo si disinteressa delle ragioni a favore o contro il progetto, peraltro il carattere ideologico che l’opera ha assunto impedisce un vero confronto nel merito, preferendo invece evidenziare un altro profilo di maggiore interesse sotteso alla vicenda: la sostanziale affidabilità dello Stato italiano.

Una saga lunga mezzo secolo

Al riguardo, sembra opportuno ripercorrere sinteticamente i principali sviluppi di questa decennale storia italiana.

Già nel secondo Dopoguerra, grazie allo sviluppo di nuove modalità costruttive e tecnologie, la politica è tornata a dibattere sulla modalità di attraversamento dello Stretto. Tale dibattito ebbe culmine con il Concorso internazionale di idee del 1969, lanciato dal Ministero dei lavori pubblici.

In quell’occasione per la prima volta emersero progetti più concreti, realizzati da diversi studi di ingegneria e architettura internazionali. In particolare, furono quattro le ipotesi di attraversamento più tenute in considerazione: il ponte a campata unica, il ponte strallato a tre campate, il cosiddetto “ponte di Archimede” (un tunnel sorretto da piloni agganciati al fondale) e infine il tunnel sullo stile di quello costruito in seguito sotto il Canale della Manica.

Si aveva allora la sensazione che per il via ai lavori mancasse davvero poco. La politica infatti sembrava aver deciso: Sicilia e Calabria dovevano essere unite. Il passo successivo fu la legge n. 1158/71, con la quale è stata autorizzata la costituzione di una società di diritto privato a capitale pubblico, destinata a essere concessionaria per la progettazione e realizzazione dell’opera.

Primo progetto e prima gara

Tuttavia soltanto nel 1981, cioè dopo dieci anni, fu istituita la società Stretto di Messina S.p.A., che iniziò a esaminare i progetti e a curare l’iter progettuale e burocratico per avviare i lavori.

Tralasciando di riportare i vari momenti in cui l’avvio del progetto veniva trionfalmente declamato, anche grazie alla presentazione di nuovi studi di fattibilità da parte della società Stretto di Messina, il primo progetto preliminare è del 1986. Un progetto approvato l’anno dopo anche dal gruppo FS e aggiornato nel 1992.

La scelta cade sull’ipotesi del ponte a campata unica, visto come intervento in grado di non interferire con il traffico marittimo dello stretto e di coniugare l’elemento funzionale con quello economico.

Nel 2001, a seguito della vittoria elettorale della sua coalizione, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi assicura la fattibilità dell’opera. Nel 2003 si arriva, sulla base dei progetti del 1986 e del 1992, a un nuovo progetto preliminare.

La società Stretto di Messina mette quel progetto a gara che è aggiudicata poi al consorzio Eurolink nel 2005 per un importo di circa 4 miliardi di euro. A capo di quel consorzio vi era la società Impregilo, oggi WeBuild.

Lo stop di Prodi e il riavvio di Berlusconi

Dopo lo stop voluto dal Governo Prodi nel 2006, con il ritorno al potere di Berlusconi nel 2008 l’iter è stato riavviato. Il 2 ottobre 2009 la Stretto di Messina ha dato incarico a Eurolink di avviare la progettazione definitiva ed esecutiva.

Due mesi più tardi, in Calabria ha preso il via il cantiere per la variante ferroviaria propedeutica alla realizzazione del pilone sul versante continentale del ponte. Ad oggi, rimane questa l’unica vera opera realizzata del progetto del 2003.

Come detto, dopo il primo via libera all’appalto del 2005 si è avuto uno stop. Non di natura burocratica, bensì politica. La coalizione di centrosinistra che aveva vinto le elezioni del 2006, guidata da Romano Prodi, aveva nel suo programma lo stop al progetto relativo al ponte. Tuttavia, la società Stretto di Messina non è stata sciolta per evitare di incappare in penali, ma è stata accorpata all’Anas.

Lo stop di Monti e le penali

Con il Berlusconi III, l’iter è ripartito da dove era stato fermato. Ma lo stop definitivo si è avuto con il governo di Mario Monti nel 2012. In quell’occasione, l’esecutivo ha ritenuto eccessivi i costi da affrontare per l’opera, a fronte di una grave situazione economica nel Paese. Si è così deciso, con un decreto di Palazzo Chigi, di mettere in liquidazione la società Stretto di Messina avviata nel 1981 e pagare le penali.

Ciò ha peraltro dato avvio ad un contenzioso legale ancora in corso, poiché le autorità pubbliche italiane hanno ritenuto eccessivamente onerose le penali contrattualmente previste. Senza addentrarci in questioni tecniche di dettaglio, il contenzioso è in Corte di Appello e quindi potenzialmente in grado di durare ancora qualche anno.

In ogni caso, alla fine è certo che lo Stato italiano dovrà pagare gli attori, dovendosi sostanzialmente solo stabilire quanto, ma quasi certamente diverse decine di milioni di euro (e forse qualche centinaia).

Certamente si può dire che la scelta di non realizzare più l’opera non sia stata improntata ai migliori criteri di economicità, anche se il sacrificio economico sopportato potrà essere ritenuto congruo da coloro che ritengono che la mancata realizzazione dell’opera persegua interessi pubblici più rilevanti.

Una scelta di serietà

Ma se si decide, a torto o a ragione, di tornare sui propri passi e realizzare la controversa grande opera, francamente non si comprende come si possa esprimere contrarietà ad una scelta logica, giuridicamente possibile, efficiente ed economica, vale a dire ridare efficacia legale ai contratti già stipulati a condizione che i contraenti rinuncino alle azioni legali in corso.

È stato scritto al riguardo che così facendo si assegnerebbero dei lavori di notevole rilevanza economica senza gara, ma la gara c’è già stata nel 2005 e semmai apparirebbe contrario al principio di affidamento il comportamento di un soggetto pubblico che svolge una procedura che poi annulla, perché l’opera è ritenuta non più necessaria, per poi ripensarci e rifare una nuova procedura a distanza di un tempo relativamente breve, tant’è che il contenzioso legale originato dalla scelta di annullare l’opera è ancora in corso (siamo addirittura ancora in appello e quindi eventualmente ci sarebbe ancora un altro grado di giudizio).

In questo modo, ogni pubblica amministrazione potrebbe tranquillamente annullare/revocare qualsiasi tipo di procedura competitiva – bando di concorso, procedure ad evidenza pubblica ecc. – se l’esito finale non è gradito per poi rifarla. Al di là dei profili economici, comunque importanti trattandosi di denaro pubblico, si tratta di serietà e affidabilità del sistema Paese.

Noi oggi non possiamo sapere se davvero l’opera sarà realizzata o sarà un ennesimo capitolo di questa saga infinita, ma siamo convinti che se davvero c’è la volontà politica di realizzare l’opera occorra agire nel rispetto degli impegni già assunti a suo tempo.

Peraltro, il soggetto prescelto dalla procedura del 2005 vede al suo capo una società italiana, Webuild, che è uno dei nostri pochi campioni internazionali nel settore ed è pure partecipata dall’azionista pubblico per eccellenza, la Cassa Depositi e Prestiti: sarebbe davvero assurdo e paradossale danneggiare, anzi direi beffeggiare, una eccellenza italiana con una nuova gara.

Chi vuole azzerare tutto

Verosimilmente, il vero obiettivo di chi vorrebbe ripartire da zero è quello di prendere tempo e potere nuovamente sospendere/annullare l’opera quando ne avrà occasione, confortato dalla consapevolezza che nella c.d. Seconda Repubblica ad ogni legislatura c’è stato un cambio di maggioranza.

E dunque chi spera (legittimamente) di tornare al governo tra cinque anni potrebbe di nuovo azzerare tutto, se in questa legislatura si dovesse ripartire con la procedura di aggiudicazione, mentre gli spazi decisionali si ridurrebbero notevolmente se i lavori di costruzione del ponte fossero nel frattempo ben avviati.

Ma in un Paese serio e affidabile le grandi opere non possono essere una infinita tela di Penelope: si devono fare o non fare, ma, se si decide di farle, occorre rispettare gli impegni assunti peraltro con specifiche procedure competitive previste dalla legge nel rispetto della concorrenza.

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