L’Occidente tentenna e condanna gli ucraini ad uno stallo sanguinoso

Putin conta sull’ambiguità del supporto occidentale. Il bombardamento di Dnipro dimostra che bisogna aiutare l’Ucraina a vincere, non solo a non perdere

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Il bombardamento di sabato sui condomini di Dnipro – 20 morti e decine di feriti – non è forse l’azione terrorista più grave perpetrata dai russi in Ucraina: Bucha, Izyum, Kramatorsk e una lunga lista di bombardamenti sui civili hanno connotato, fin dall’inizio delle ostilità, l’aggressione di Mosca.

L’incertezza dell’Occidente

Dal punto di vista simbolico, però, assume un significato specialmente rilevante per il momento in cui avviene e per il messaggio che lancia a Kyiv e all’Occidente. Mentre in Europa ci si lambicca il cervello sul numero e la frequenza dei rinforzi militari da inviare a Zelensky e si mettono insieme a fatica pochi mezzi corazzati (Leopard sì, Leopard no), l’Ucraina continua a fare i conti con sistemi anti-missile efficaci ma insufficienti a fronteggiare le continue offensive dal cielo degli invasori.

Washington, dal canto suo, sembra aver deciso che gli ucraini non possano perdere la loro guerra esistenziale ma non debbano nemmeno provare a vincerla (Patriot sì, ATACMS no), scommettendo così su uno stallo che – alla lunga – può solo favorire la strategia di logoramento su cui punta Vladimir Putin.

La guerra contro i civili

Battezzata dal regime moscovita eufemisticamente come “operazione speciale”, la guerra contro l’Ucraina ha cessato di essere un conflitto strettamente convenzionale fin dal fallimento iniziale della blitzkrieg sulla capitale.

Una volta infrantesi nella resistenza organizzata di esercito e popolo le speranze russe di una conquista senza troppi patimenti, Putin ha scatenato una guerra parallela, contro i civili, volta a fiaccare le difese psicologiche della nazione aggredita e a provocarne una resa per sfinimento e disperazione.

Da qui gli attacchi diretti a ospedali, teatri, edifici residenziali, palazzi pubblici e infrastrutture energetiche. Il messaggio è chiaro: per quanto l’Occidente sostenga l’Ucraina con forniture di armi e appoggio logistico, la Russia non potrà essere sconfitta in maniera tradizionale, sul campo di battaglia, perché la battaglia è già altrove, nelle case dei cittadini.

È un copione già visto, da Grozny ad Aleppo, ma anche a Mosca, se è vero che le esplosioni del settembre 1999 servirono a dare il via alla seconda guerra cecena.

La sopravvivenza del regime putiniano

Putin, dal bunker, ha capito che l’unica speranza di sopravvivenza del suo regime crepuscolare è sfruttare l’oggettiva ambiguità del supporto occidentale all’Ucraina: aiutarla a sopravvivere e a respingere l’attacco senza entrare direttamente in conflitto con la Russia.

È un equilibrio che, se finora le democrazie occidentali sono riuscite a preservare, rischia di spezzarsi ad ogni nuovo bombardamento sulle città ucraine (sabato non è stata colpita solo Dnipro, ma anche Kharkiv, Odessa e la stessa Kyiv) e ad ogni nuova richiesta di assistenza da parte di Zelensky.

Il combinato disposto della guerra terrorista e della minaccia nucleare rappresenta l’assicurazione sulla vita del regime putiniano, garantendo a Mosca la continuazione delle ostilità con altri mezzi (non potendo vincere sul campo, i russi si accaniscono sui civili) in una condizione di sostanziale impunità e, allo stesso tempo, la protezione dei propri confini (portare la guerra in territorio russo significherebbe aprire le porte a un conflitto generalizzato).

L’apparato bellico di Putin si prepara ad una guerra lunga con nuove mobilitazioni in vista e avvicendamenti al vertice delle forze armate. Se per l’Ucraina si tratta di una questione esistenziale, nei fatti lo è anche per il regime moscovita, che difficilmente sopravvivrebbe ad una sconfitta decisiva.

E se è illusorio pensare che il Cremlino possa essere scosso da una ribellione di popolo, lo è molto meno prevedere una resa dei conti all’interno della struttura politico-ideologica in caso di fallimento conclamato dell’invasione.

I continui cambiamenti negli alti comandi rivelano le tensioni in atto tra il ministero della Difesa e le forze paramilitari (Wagner su tutte) che hanno trovato in Ucraina lo scenario ideale per inserirsi all’interno della verticale del potere. Quello che Anna Zafesova ha definitoun regime tribale di clan” sta combattendo attualmente su entrambi i fronti.

Il momento di decidere

Per l’Occidente è arrivato il momento di decidere cosa vuol fare da grande: continuare a centellinare e a filtrare gli aiuti militari all’alleato ucraino o mettere in campo tutto il potenziale difensivo che Kyiv richiede per respingere definitivamente l’aggressione russa e liberare il proprio territorio dalle truppe straniere; accettare il ricatto nucleare di Vladimir Putin o fermare la guerra terrorista di Mosca con la minaccia di ritorsioni credibili; cercare un cessate-il-fuoco che condanni l’Ucraina ad una drammatica menomazione territoriale e l’intero continente ad una costante situazione di insicurezza e instabilità o chiudere una volta per tutte la partita.

Sono snodi decisivi per il futuro dell’ordine internazionale e non più eludibili nel momento in cui un regime autoritario con ambizioni imperialiste e revisioniste è impegnato a riscrivere con la violenza e l’arbitrio le regole del gioco.

Per recuperare una pace stabile in Europa non esistono soluzioni alternative alla sconfitta della Russia e alla fine del sistema Putin.

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