Nessuno stop all’agenda green, ma da Sunak una prima frenata: hanno paura

A Londra il governo Tory comincia a temere la rabbia montante dei cittadini per i costi di net zero, ma concede solo qualche rinvio. E a Bruxelles?

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L’impatto devastante delle politiche climatiche è già tra noi. Lo vediamo ogni giorno nell’aumento dei prezzi, dai carburanti ai generi alimentari nulla si salva, nell’invasione delle auto elettriche cinesi, nei licenziamenti di Volkswagen perché il “boom” dell’elettrico è esaurito, nella chiusura dello storico stabilimento di Magneti Marelli, solo per limitarci alle notizie più fresche.

Misure alleggerite

Qualche governo sta aprendo gli occhi? Forse sta appena sollevando una palpebra il governo britannico, più per paura del giudizio degli elettori che per convinzione. Visto il crollo verticale nei sondaggi (Ipsos dà i Tories 20 punti percentuali sotto al Labour), a meno di un anno dal voto, il premier Rishi Sunak è corso ai ripari e ha annunciato ieri un rallentamento delle principali politiche green.

Rinvio di cinque anni del divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel: fissato da Londra al 2030, è ora allineato alla deadline Ue, il 2035. Dunque, ben poca cosa. Resa più graduale l’eliminazione delle caldaie a gas: resta la scadenza del 2035, ma il passaggio alla pompa di calore sarà obbligatorio solo in caso di sostituzione della caldaia. Anche qui poca roba.

Il premier ha inoltre assicurato che non ci saranno nuove tasse per scoraggiare il trasporto aereo o il consumo di carne, nessuna politica governativa per cambiare la dieta delle persone, nessuna misura per incoraggiare il car sharing e nessun obbligo ulteriore di isolamento degli edifici – confermando implicitamente che tali progetti normativi esistono.

Nessuna retromarcia

Sunak ha comunque confermato l’obiettivo net zero entro il 2050 e rivendicato il ruolo-leader del Regno Unito nella transizione green, osservando però che i britannici stanno già facendo abbastanza sforzi, ora tocca ad altri Paesi dimostrare che si stanno impegnando altrettanto.

Dunque, mentre molti media parlando di “U-turn” di Sunak, la realtà è molto diversa: nessuna retromarcia, ritocchi poco più che cosmetici, una timidissima frenata nell’implementazione di divieti che restano comunque a scadenza ravvicinata e fuori portata per la tasche della maggior parte dei cittadini. Ma questo ovviamente non gli risparmierà le accuse di eresia dei chierici del green dentro e fuori il suo partito e nei media.

La reazione dei cittadini

Non si può dire che non vi sia a Downing Street una certa consapevolezza del rischio di andare a sbattere, è il primo governo che mostra di cominciare a temere la reazione dei suoi cittadini, che sia pure lentamente stanno prendendo consapevolezza dei costi di net zero. E di chi dovrà pagarli.

“Non salveremo il pianeta mandando in bancarotta il popolo britannico”, ha affermato il ministro degli interni Suella Braverman. “Dobbiamo adottare un approccio pragmatico ed equilibrato e assicurarci di raggiungere questo obiettivo, ma in modo sostenibile, non imponendo costi eccessivi e sproporzionati alle famiglie e ai lavoratori”. Come ammesso da Sunak, infatti, “per troppi anni i governi di ogni colore non sono stati onesti riguardo ai costi e ai sacrifici, preferendo prendere la strada più facile, dicendo che possiamo avere tutto”.

“Al pubblico non viene ancora detta tutta la spaventosa verità sulla rivoluzione permanente net zero“, avvertiva di recente Allister Heath sul Telegraph, sollevando la questione della legittimità democratica del pilota automatico: i governi hanno pochissimi margini di manovra per rallentare e correggere la rotta, e alleviare i costi. Quando gli elettori se ne accorgeranno, si arrabbieranno, “si opporranno furiosamente a molti dei cambiamenti incombenti e chiederanno di riprendere il controllo”, come con la Brexit.

L’unico aspetto positivo della frenata di Sunak è che i britannici avranno più tempo per realizzare quanto il net zero sia in sé un errore disastroso, ma come ha osservato Bloomberg, non ridurrà i costi, che resteranno eccessivi e sproporzionati per la maggior parte delle famiglie e dei lavoratori.

Unconservative

Sunak pretende che il suo nuovo approccio al net zero sia “pragmatico, proporzionato e realistico”, mentre resta sproporzionato, irrealistico e costosissimo. E politicamente unconservative, contrario ai principi conservatori, quindi difficilmente risolleverà i consensi dei Tories in picchiata.

Margaret Thatcher avrebbe visto l’agenda net zero come un attacco alla libera impresa e un pretesto per tasse elevate e politiche stataliste di stampo socialista. Nel suo ultimo libro, “Statecraft”, la ex Lady di ferro scriveva:

L’argomento preferito dai catastrofisti oggi è il cambiamento climatico… poiché chiaramente nessun piano per alterare il clima potrebbe essere preso in considerazione se non su scala globale, fornisce una meravigliosa scusa per il socialismo mondiale e sovranazionale.

Al di qua della Manica

Anche al di qua della Manica qualcosa si muove. Il PPE sta mollando la maggioranza Ursula su alcune delle misure più radicali, nel tentativo anch’esso di recuperare consensi, così come Berlino sta frenando la direttiva che riguarda l’adeguamento energetico degli edifici. Ma anche qui, troppo poco e troppo tardi.

I partiti di centrodestra hanno sottovalutato gli effetti devastanti dell’agenda green e ora, spaventati dalla rabbia montante dei cittadini, si illudono che basti qualche rinvio, un compromesso sui tempi e le modalità per sistemare le cose.

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