No, i piani russi sull’Ucraina non sono mai cambiati. E Lavrov li conferma

Nonostante i media le presentino ogni volta come “novità”, le intenzioni di Mosca non sono mai cambiate: la tattica si evolve ma l’obiettivo è assoggettare Kiev

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L’aspetto più significativo delle ultime dichiarazioni di Lavrov sugli obiettivi della guerra russa in Ucraina è come sono state riportate da certa stampa internazionale. Prendiamo come esempio paradigmatico l’articolo della Reuters che, fin dal titolo, dà credito alla versione di Mosca sul presunto cambio di strategia, esattamente come il 25 marzo scorso era stata data per buona la cosiddetta svolta che circoscriveva al Donbass il bottino dell’invasione.

Il gioco della disinformazione

Lavrov says Russia’s aims in Ukraine now go beyond Donbas”: now, adesso. Prima no, suggerisce la Reuters. Secondo l’agenzia di stampa le parole del capo della diplomazia russa sarebbero “the clearest acknowledgment yet that its war goals have expanded in the past five months” (“la più evidente dimostrazione che gli obiettivi di guerra si sono estesi negli ultimi cinque mesi”). Ma come? Non si erano ridimensionati rispetto alle “formulazioni iniziali” solo quattro mesi fa, stando alla stessa fonte?

Così funziona il gioco perverso della disinformazione, come un elastico che si allunga e si accorcia a seconda della convenienza, segnale inconfondibile dell’eco acritico che la propaganda di Mosca trova in alcuni media occidentali compiacenti (l’editor-in-chief della Reuters è dall’aprile 2021 l’italiana Alessandra Galloni).

Ma si può fare di peggio. L’articolo continua attribuendo allo stesso Putin nientemeno che la volontà dichiarata di non occupare il territorio del vicino. Occhio al passaggio: “When Russia invaded Ukraine on Feb. 24, President Vladimir Putin explicitly denied any intention of occupying his neighbour. He said then that his aim was to demilitarise and “denazify” Ukraine – a statement dismissed by Kyiv and the West as a pretext for an imperial-style war of expansion”. Se ne deduce che per la Reuters, la “demilitarizzazione” e la “denazificazione” non implicavano la presa del potere a Kiev.

Prospettiva quantomeno curiosa alla luce non solo del blitzkrieg fallito sulla capitale ma soprattutto dei discorsi pre-invasione del dittatore russo, degli editoriali della vittoria che ne sono seguiti e della dottrina Putin sull’Ucraina e sull’estero vicino, esposta a più riprese in scritti e pronunciamenti ufficiali.

Nessun cambio di strategia

Insomma, nonostante i tentativi mediatici di far passare le parole di Lavrov come una novità derivata dai cambiamenti della situazione sul campo (leggasi l’ostinata resistenza ucraina e l’invio di armi occidentali), siamo semplicemente di fronte all’ennesima conferma della natura ideologica e imperialista dell’aggressione ordinata dal Cremlino.

L’Ucraina come territorio disponibile, da assoggettare in fasi successive attraverso la conquista militare e la russificazione, fino all’annientamento della sovranità nazionale, nelle sue declinazioni politiche, culturali e storiche. Tutto scritto nero su bianco da almeno un decennio e scolpito nella memoria collettiva delle terre di mezzo da un secolo.

La russificazione

L’onda espansiva russa, ribadita da Lavrov, include al momento – oltre al Donbass – la regione di Kherson (già interamente occupata) e quella di Zaporizhzhia (ad oggi ancora in parte sotto il controllo ucraino). È qui che, secondo John Kirby – portavoce del US National Security Council -, saranno celebrati i primi referendum di annessione, probabilmente già a settembre.

Ma la campagna di russificazione è in corso già da tempo, dai canali televisivi ai programmi scolastici, dalle campagne ideologiche all’imposizione del rublo come moneta di corso legale. Lo stesso copione che precedette l’anschluss della Crimea.

Il silenzio-assenso

Scrive l’analista Andrei Kolesnikov che Putin ha deciso che l’avventura imperiale dovrà proseguire ad ogni costo, indipendentemente dallo sforzo che richieda alla nazione in termini economici e di isolamento internazionale. Il progetto espansivo, la ricostituzione del Russkij Mir sognato, è il legato che il despota ha deciso di lasciare ad una nazione colpita ma non ancora affondata dalle sanzioni e dalle ristrettezze quotidiane.

Se la Russia si spopola bisognerà andarsi a prendere altrove le generazioni del futuro: quanti figli dell’Ucraina sono stati sequestrati dall’inizio della guerra? Se i cervelli scappano, il mercato del lavoro è in stallo, l’inflazione cresce e l’accesso alla tecnologia si riduce, bisognerà ricorrere all’autarchia e aumentare il livello di nazionalismo ad uso interno.

Ma nemmeno la propaganda può mascherare la cruda realtà di una guerra che non ha portato alcun beneficio concreto alla nazione che l’ha iniziata e alla sua popolazione. Il silenzio-assenso che mantiene Putin e la sua corte al potere sembra fondarsi soprattutto sulla promessa implicita che il Cremlino non ricorrerà mai alla mobilitazione generale: voi non protestate, seguite la linea, partecipate al progetto imperiale e noi non vi manderemo al fronte.

Il fronte interno

Ma fino a quando? Anche se il regime non lo riconoscerà mai, in questa guerra il fronte è duplice: c’è un conflitto visibile, militare e terroristico, nei territori occupati e ce n’è uno silenzioso, non dichiarato ma potenzialmente esplosivo dentro la Federazione Russa.

Sulla tenuta delle élites, che finora hanno accettato con convinzione o rassegnazione le prospettive di distacco del Paese dai circuiti internazionali, e sulle spinte centrifughe frutto delle crescenti tensioni tra centro e periferia si giocano almeno tre partite vitali per la Russia: quella di una guerra che non riesce a vincere e non può interrompere e che ha deciso pertanto di prolungare ed estendere il più possibile; quella di un regime che ha esportato fuori dai confini nazionali la sua natura repressiva e la cui sopravvivenza dipende ormai da una continua fuga in avanti; quella di uno Stato federale che si regge non sul consenso ma sull’imposizione autoritaria proveniente da Mosca.

Il sistema Putin, ormai fondato esclusivamente sulla pervasività della minaccia, si dissolverà nel momento in cui la sua capacità intimidatoria si esaurisca.

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