Orban un comodo spauracchio, valori Ue ostaggio di un’agenda ideologica

Una gestione consociativa del potere che finisce per bollare come anti-sistema qualsiasi opposizione alla sua “visione” dell’Ue. L’Italia tra le “democrazie illiberali”

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La recente risoluzione di condanna dell’Ungheria da parte del Parlamento europeo ci racconta purtroppo più dell’Unione europea, di cosa essa sia diventata, che del Paese guidato da Viktor Orban.

Il testo approvato definisce l’Ungheria “una minaccia sistemica ai valori dell’Unione” e, addirittura, coniando un nuovo termine politologico, “un regime ibrido di autocrazia elettorale“, dunque non più una democrazia.

Innanzitutto, la risoluzione rivela l’ipocrisia delle istituzioni Ue. Non scenderemo in questa sede nel dettaglio, ma ci limitiamo a constatare che degli stessi problemi riguardanti in generale lo stato di diritto era accusata anche la Polonia, che però per il momento sembra essere curiosamente sparita dai radar di Strasburgo e di Bruxelles.

Come mai? Nel frattempo, Varsavia ha giocato un ruolo fondamentale nel sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia di Vladimir Putin, sia dal punto di vista degli aiuti materiali e militari, che dal punto di vista umanitario, accogliendo milioni di profughi, mentre Budapest si è distinta per essere tra i Paesi Ue più recalcitranti a condannare l’invasione russa, adottare sanzioni e abbandonare la dipendenza dal gas russo.

Tuttavia, tali considerazioni esulano dal tema oggetto delle contestazioni di Bruxelles ai due Paesi. Se c’era un problema di stato di diritto in Polonia, non è magicamente scomparso per effetto del sostegno garantito all’Ucraina.

Di tutta evidenza c’è ancora, ma qualcuno ha ritenuto indelicato e inopportuno procedere contro Varsavia in questo momento, il che però rende quella contro Budapest una risoluzione “punitiva” anche per il suo posizionamento ambiguo nel conflitto ucraino e il tema stato di diritto strumentale.

Ma qui ci interessa sottolineare un altro aspetto, forse più strutturale, dell’Unione europea messo in evidenza dalla condanna dell’Ungheria.

Una condanna in quanto “minaccia” ai valori europei approvata da una maggioranza politica, dalla cosiddetta “maggioranza Ursula”, quella che sostiene la Commissione guidata dalla baronessa Von der Leyen.

Viene dunque spontaneo chiedersi, delle due l’una: o l’intera opposizione a Strasburgo, che ha votato contro, è composta da forze politiche che non si riconoscono in quei valori, da forze quindi anti-sistema e anti-democratiche, oppure c’è una maggioranza che pretende di far coincidere i propri giudizi di valore con i diritti universali e con l’essenza stessa della democrazia.

Riteniamo che non da oggi l’Unione europea sia affetta da questa seconda pericolosa distorsione. Si sta perfezionando in questi anni un lungo processo di sovrapposizione tra una ben definita e riconoscibile agenda politico-ideologica – legittima ma parziale – e i “diritti fondamentali”, così reinterpretati e politicizzati ad uso e beneficio esclusivo di una parte.

Questa agenda politico-ideologica viene per così dire “costituzionalizzata”, in modo da escludere, delegittimare a priori agende e visioni alternative della società – e dell’Europa stessa.

È questo il frutto avvelenato di una gestione consociativa delle istituzioni Ue da parte delle due maggiori famiglie politiche europee – PPE e SD (ex PSE) – che dura senza soluzione di continuità ormai da decenni e che finisce per bollare come anti-sistema qualsiasi opposizione ad una certa “visione” dell’Ue, quella cristiano-socialista (cattocomunista diremmo in Italia) e germanocentrica.

L’europeismo non è più un generico sentimento positivo nei confronti dell’Ue come progetto, non è più solo la promozione di una maggiore integrazione tra gli Stati membri, ma un pacchetto completo e ben definito di politiche: economiche, fiscali, sociali, persino ambientali.

Chi si oppone ad esse viene automaticamente messo fuori dal cerchio della legittimità politica europea, accusato di essere contro l’Ue, anti-europeo, una “minaccia sistemica”.

Democrazie illiberali

Orban, con i suoi eccessi, è un comodo spauracchio, ma a ben vedere sono pochi gli Stati membri che possono affermare di non avere problemi con lo stato di diritto. Il Paese messo peggio è probabilmente l’Italia. Basti pensare all’influenza del potere politico sulla magistratura e sui media, all’incertezza del diritto, allo stato delle carceri, alla corruzione, alla negazione dei diritti di proprietà, alle libertà individuali calpestate durante la pandemia.

Orban stesso definì la sua Ungheria una “democrazia illiberale” – definizione appropriata in alcuni ambiti – ma non esistono solo i diritti delle persone Lgbt. Se guardiamo alle libertà economiche, al dirigismo imperante, ai livelli di tassazione e ai diritti di proprietà, ai sempre più invasivi sistemi di sorveglianza statale, molti grandi Stati Ue – e tra questi sicuramente l’Italia – possono indiscutibilmente essere definiti democrazie illiberali, se non democrazie socialiste.

Ma non tutte le libertà e non tutti i diritti evidentemente godono della stessa considerazione agli occhi di quella maggioranza politica che occupa le istituzioni Ue da decenni.

È questa stessa blindatura ideologica ad aver causato l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Anziché a Orban, Fratelli d’Italia e Lega dovrebbero guardare all’euroscetticismo britannico, thatcheriano, per contrastare il mainstream Ue, così da non prestare il fianco a pretestuose accuse di flirt con le autocrazie.

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