Ai giudici licenza di apparire militanti politici, oltre che esserlo

Csm e Anm teorizzano un diritto alla militanza politica. Parafrasando Mattarella, non esiste e non può esistere un contropotere politico della magistratura

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Manifestazione Catania Salvini Iolanda Apostolico?

Per la serie il mondo al contrario, nel nostro Paese abbiamo membri del Csm e un’Associazione nazionale magistrati che teorizzano il diritto dei giudici non solo ad essere, ma persino ad apparire parziali e politicizzati.

Il caso lo conoscete, è quello del giudice Iolanda Apostolico del Tribunale di Catania, che pochi giorni fa non ha convalidato il fermo di quattro migranti illegali (che ci auguriamo non compiano reati violenti), disapplicando un decreto del governo ritenuto in conflitto con la normativa Ue.

Giudice attivista

Peccato che il giudice Apostolico abbia espresso sui social le sue posizioni politiche comuniste e immigrazioniste, e firmato anche appelli e petizioni contro l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini. Un magistrato militante vicino a forze politiche di estrema sinistra.

Come se non bastasse, ieri un deputato della Lega ha diffuso un video nel quale si vede la Apostolico partecipare ad una manifestazione del 2018 nel porto di Catania contro l’operato di Salvini nel caso della nave Diciotto. Il suo volto appare proprio davanti ai poliziotti mentre una piccola folla di esagitati, tra cui il marito (sic!), intona insulti all’indirizzo degli agenti e del governo (“assassini” e “animali”).

Protesta ovviamente legittima, ma discutibile la presenza del magistrato. Un video che obiettivamente cambia la sostanza, perché un conto è che un giudice esprima una posizione politica, e già non dovrebbe accadere, ma ancor più grave che si trasformi in attivista.

“Trovo scandaloso che un magistrato vada in piazza, per di più in mezzo a persone che urlano slogan vergognosi contro le forze dell’ordine. Se vuoi fare politica, non fai il magistrato“, ha postato Matteo Renzi su X.

Il paragone con Vannacci

Subito da sinistra hanno tirato in ballo il caso Vannacci: ma come, la destra ha difeso la libertà d’espressione del generale e si lamenta delle posizioni politiche del giudice Apostolico? Discorso che si potrebbe ribaltare: la sinistra voleva censurare Vannacci, buttarlo fuori dalle forze armate, e invece va tutto bene se un giudice scende in piazza contro un governo?

Pari e patta, dunque? Nemmeno per idea. Primo, come ha fatto notare Andrea Venanzoni, “quando nell’ordinamento militare saranno inserite le motivazioni sottese all’istituto della ricusazione, dettate dal venire meno del fondamentale requisito della terzietà (incidente direttamente su quell’atto tremendo che è il giudizio), questo potrà apparire un paragone anche solo vagamente sensato”.

Secondo, il giudice decide in piena autonomia e ha nelle sue mani la libertà dei cittadini, può sconvolgere in modo drammatico le loro vite, distruggerle in modo irreparabile. Peraltro, nel nostro Paese è anche “irresponsabile”, una distorsione del sistema per cui di fatto non viene mai chiamato a rispondere del suo operato.

Un generale in tempo di pace ha un potere nemmeno lontanamente paragonabile – e solo sui suoi sottoposti – e risponde sempre ad una rigorosa catena di comando. Tant’è che Vannacci è stato immediatamente rimosso dal suo incarico, nonostante non sia ancora emersa a suo carico alcuna violazione per la pubblicazione del suo libro, mentre il giudice Apostolico è al suo posto e anzi il Csm si è subito mosso a sua tutela.

Diritto alla militanza politica

Subito, manco a dirlo, è scattata la difesa a spada tratta della corporazione, con argomenti però lunari. Non solo tredici togati del Csm hanno depositato una richiesta di pratica a tutela del giudice catanese. Il consigliere Roberto Fontana, uno dei firmatari, sostiene che con il video si vogliono “confondere i piani”.

La giurisdizione si esprime attraverso i provvedimenti, che ovviamente possono essere criticati e impugnati sulla base di ragioni tecnico-giuridiche. Spostare l’attenzione sulla vita del magistrato e le sue eventuali attività esterne a quella giudiziaria, è un modo per eludere il confronto sul merito del provvedimento e un tentativo di delegittimare l’attività giurisdizionale.

Ancora più esplicito il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia:

Inviterei a valutare la terzietà dei giudici sulla base dei provvedimenti che vengono assunti e delle motivazione poste alla base, e a non fare invece lo screening al passato, alla vita privata di un magistrato. Altrimenti la compressione dei diritti di un magistrato diventa impossibile da reggere.

Qui Fontana e Santalucia arrivano addirittura a rivendicare il diritto del magistrato a esibire la sua parzialità, la sua militanza politica. Un’arroganza che rivela la sensazione di intoccabilità della categoria.

Eh no! I magistrati devono non solo essere ma anche apparire terzi e imparziali, altrimenti non esisterebbe l’istituto della ricusazione. Ed esternare le proprie posizioni politiche sui social, firmare appelli e petizioni, partecipare a manifestazioni, è vita pubblica, non privata, che nel caso di un giudice può e anzi deve essere sottoposta a screening.

L’imparzialità della decisione va tutelata anche attraverso l’irreprensibilità e la riservatezza dei comportamenti individuali, così da evitare il pericolo di apparire condizionabili o di parte. È un aspetto importante per ogni istituzione della Repubblica, particolarmente in questa stagione nella quale la preziosa moltiplicazione dei canali informativi presenta anche il rischio di trasmettere l’apparenza di realtà virtuali.

Di chi sono queste parole? Sono del presidente della Repubblica Sergio Mattarella non molti mesi fa, il 15 giugno scorso, parlando ai magistrati tirocinanti. Non scommetterei un centesimo di euro che il presidente Mattarella trovi il coraggio di ribadire questo concetto in queste ore, ma se ci credesse davvero, avrebbe pienamente senso farlo ora.

Parafrasando Mattarella in altra occasione, non esiste e non può esistere un contropotere politico della magistratura.

Il caso Guido Gianni

Che poi, la decisione più grave presa dal giudice Apostolico non è nemmeno la disapplicazione del decreto sui migranti, ma la condanna (che a questo punto ci sono molti elementi per ritenere ideologicamente motivata) del gioielliere Guido Gianni a 13 anni di carcere per legittima difesa, per aver difeso se stesso e la moglie da una banda di tre ladri che li minacciavano. Se n’è occupato Giuseppe Di Lorenzo su NicolaPorro.it: Guido Gianni libero subito!

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