Governo Meloni

Atlantismo o niente governo: leadership rafforzata e filorussi in fuorigioco

Dopo l’audio di ieri azzerata la leva contrattuale di Berlusconi. E con la sua nota Giorgia Meloni ha messo il putinismo fuori dalla porta del governo e del centrodestra

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Se la “pace” di Via della Scrofa non aveva retto nemmeno 24 ore, con Silvio Berlusconi subito intento a forzare sul nome della Casellati per il Ministero della giustizia (“accordo siglato”) e a formulare ulteriori commenti poco lusinghieri per la premier in pectore, l’audio diffuso ieri pomeriggio ha avuto l’effetto della classica scintilla in una polveriera. E proprio alla vigilia dell’avvio delle consultazioni al Quirinale.

L’audio rubato

Cosa è emerso? Martedì, alla riunione dei gruppi parlamentari di Forza Italia, Berlusconi è tornato a parlare della guerra in Ucraina, in pratica ribadendo la versione già esposta durante la campagna elettorale a Porta a Porta, che già aveva suscitato non poche polemiche: tutta colpa del presidente ucraino Zelensky, assoluzione piena per Putin. Ma in questa seconda occasione con parole ancora più esplicite.

Ci è subito sembrato che l’audio non mettesse a rischio tanto la nascita del governo di centrodestra, quanto la già debolissima posizione di Forza Italia e in particolare dello stesso Berlusconi.

La nota della Meloni

Perfetta la nota trasmessa in serata da Giorgia Meloni:

“Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo“.

Come avevamo osservato su Atlantico Quotidiano, la leader di Fratelli d’Italia non avrebbe dovuto temere di far pesare e mettere in gioco fin da subito la forte investitura popolare ricevuta, resistendo a ricatti e prevaricazioni. Sicuramente nei confronti degli alleati, ma anche nei confronti del Quirinale, se necessario.

E così ha fatto Giorgia Meloni: una prima volta procedendo all’elezione di La Russa alla presidenza del Senato anche senza i voti di Forza Italia, respingendo il ricatto su Ronzulli ministro; e una seconda ieri, tracciando i confini del suo governo anche “a costo di non fare il governo”.

“Questa è la linea del governo che intendo guidare. Se non vi sta bene, andate a spiegarlo voi agli italiani perché non nasce un governo Meloni”, è il senso delle sue parole, ben sapendo che, come avevamo notato, nessuno oggi può permetterselo.

Oltre che i numeri, non ne vediamo le condizioni politiche. Anche allo stesso Pd conviene che il governo di centrodestra parta e, semmai, constatarne il fallimento dopo almeno un anno, così da potersi presentare come “salvatore della patria”. Non crediamo che dalle parti del Nazareno muoiano dalla voglia di riprendersi subito il cerino in mano (e che cerino!).

Dunque, il risultato delle sciagurate uscite di Berlusconi di questi giorni, e dei leaks audio di queste ore, è aver praticamente azzerato la sua leva contrattuale sulla composizione del nascituro governo. A vantaggio di qualcun altro in Forza Italia? Lo capiremo.

Passaggio di leadership

Sebbene il parto di questo governo cominci ad essere un po’ troppo travagliato e lo spettacolo non sia proprio edificante per il centrodestra, per usare un eufemismo, forse non tutto il male viene per nuocere.

Ciò a cui stiamo assistendo è un doloroso ma obbligato passaggio di leadership, nell’unico modo – conflittuale, lacerante – in cui può avvenire in un centrodestra dominato per quasi trent’anni da un’unica personalità carismatica. Stiamo assistendo in questi giorni, forse, all’epilogo del lunghissimo tramonto di Berlusconi e al consolidamento di una nuova leadership del centrodestra.

Il travaglio interno a Forza Italia va in una certa misura rispettato, comprendendo come sia difficile per chi a Berlusconi deve tutto dissociarsi dall’anziano leader e invitarlo ad accomodarsi in tribuna.

Filorussi in fuori gioco

Che l’affermazione della leadership di Giorgia Meloni sul Cavaliere avvenga proprio sul connotato dell’atlantismo può essere persino benefico.

Sappiamo bene infatti che tutti e tre i leader dei principali partiti di centrodestra, chi più chi meno, ciascuno con il suo stile, la sua storia e le sue motivazioni, hanno subìto il fascino di Vladimir Putin, portandosi dietro ampie porzioni del proprio elettorato.

Poteva essere comprensibile per i leader “sovranisti”, fino a qualche anno fa, la tentazione di “giocare” la figura del leader russo nella battaglia politica interna all’Occidente, di brandirla come arma contundente contro l’Unione europea.

E d’altra parte, molti premier e leader europeisti e di sinistra hanno commesso l’errore ben più grave di stringere ancora di più i rapporti con la Russia di Putin, accrescendo irresponsabilmente la nostra dipendenza energetica da Mosca.

Ma il 24 febbraio scorso è una data spartiacque, l’invasione russa dell’Ucraina è un game changer, rappresenta l’ultima chiamata della storia. I leader che non l’hanno compreso e si sono attardati, non hanno futuro. Giorgia Meloni lo ha compreso e ha risposto presente.

Che il primo premier di centrodestra dal 2011 sia chiaramente connotato in senso atlantista è una buona base di partenza per il riallineamento degli apparati di partito e dell’elettorato. L’esito di questo processo non è scontato ovviamente, ma non poteva che partire da una nuova leadership.

Con la nettissima nota di ieri sera, Meloni ha messo il putinismo fuori dalla porta, ha senza mezzi termini chiarito che non ha cittadinanza nel governo e nel centrodestra che ha intenzione di guidare. Ne risulta quindi azzerata l’agibilità politica dei filorussi nella maggioranza, che dovranno adeguare di conseguenza le loro parole d’ordine e i loro ambiti di interesse.

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