Dal Covid all’Intelligenza Artificiale, le frontiere della farmaceutica viste da Dompé

Intervista a Sergio Dompé, presidente esecutivo dell’azienda leader della farmaceutica italiana. Il progetto Exscalate, supercomputer per abbattere tempi e costi della sperimentazione

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È stato giusto durante la pandemia lanciare vaste campagne di vaccinazione con farmaci di nuova generazione? Perché si è venuto a creare tanto scetticismo al punto da far nascere teorie cospirazioniste? Il nostro Paese ha un ruolo in questo mondo di farmaci ad altissima tecnologia?

Sono passati ormai tre anni dall’inizio della pandemia Covid-19, dalla quale in qualche modo tutti speriamo di essere ormai usciti. È dunque il momento giusto per guardare indietro, al fine di inquadrare bene quanto accaduto e magari trarre qualche lezione per il futuro.

C’è chi lo fa con la magistratura o commissioni di inchiesta, ma noi preferiamo farlo con chi si occupa della questione sul versante scientifico, facendoci aiutare dal massimo responsabile di una delle aziende biotech leader nel nostro Paese, la Dompé farmaceutici di Milano.  

Dompé farmaceutici

Nella scia di un’attività familiare nata oltre 130 anni fa, l’azienda produce da sempre medicinali di grande successo, quali il Guaiacalcium, che Sophia Loren somministra ai suoi bambini nel film premio Oscar Ieri, Oggi, Domani, di Vittorio De Sica.

Dalla fine degli anni ‘70, sotto la guida dell’attuale presidente esecutivo Sergio Dompé, l’azienda punta sull’innovazione fondando Dompé Biotech e portando tra l’altro sul mercato un’applicazione terapeutica legata al fattore di crescita nervoso (NGF – Nerve Growth Factor), la proteina scoperta da Rita Levi Montalcini e che le valse il Premio Nobel nel 1986.

Nella primavera del 2020, Exscalate, la piattaforma di drug-discovery sviluppata in collaborazione con il Politecnico di Milano e il Cineca di Bologna, diventa il fulcro di Exscalate4Cov, un progetto sostenuto dalla Commissione europea per lo sviluppo rapido del primo farmaco anti-Covid, il raloxifene, una molecola generica già utilizzata contro l’osteoporosi e arrivata alla terza fase di sperimentazione clinica.

Oggi lo sviluppo di Exscalate prosegue e, con essa Dompé è diventato il primo utente privato di Leonardo, il quarto supercomputer più potente al mondo, installato dal Cineca presso il Tecnopolo di Bologna.

L’autorizzazione in tempi record

MARCO HUGO BARSOTTI: Parliamo innanzitutto del coronavirus. Una delle critiche, forse quella che ha scatenato maggiori teorie complottiste, è stata che i vaccini siano poco sicuri perché approntati in tempi rapidissimi, quando in genere si tratta di processi che durano anni.

SERGIO DOMPÉ: È curioso vedere come l’analisi umana si concentri spesso sulle problematiche, sulle criticità e non sulle soluzioni. Come riportato anche dal sito dell’Istituto Superiore della Sanità, per questa emergenza è stato utilizzato il processo della Rolling Review (una valutazione da parte delle agenzie regolatorie dei risultati man mano che vengono prodotti dagli studi clinici): ma questo non è nulla di nuovo.

Le rolling-reviews esistevano già proprio perché quando c’è un’innovazione terapeutica particolarmente importante per la popolazione, le autorità sanitarie permettono un’autorizzazione accelerata nell’interesse della comunità.

In questo caso siamo riusciti in meno di un anno a passare dallo sviluppo del farmaco ai test clinici fino alle complesse questioni tecnologiche connesse alla produzione e alle somministrazioni. È stato uno dei più grandi successi della medicina degli ultimi cinquanta anni.

Il complottismo

MHB: Questa rapidità ha però spaventato molti. Si è forse comunicato male, spiegato male quanto veniva fatto? 

SD: Non credo. Non saprei dire esattamente perché, ma sembra che più una popolazione ha mezzi di comunicazione diretta a disposizione, più abbondano le tesi complottiste e il sospetto, con il risultato che fatti e dati vengono relegati sullo stesso piano delle opinioni personali.

Pochi giorni fa parlavo con un ex ministro che mi diceva che i suoi interlocutori, anche a fronte di dati oggettivi, rispondevano “questo me lo dice lei”, quasi fossero opinioni personali. Portare a dimostrazione dati oggettivi e accertati non sembra purtroppo poter scalfire le certezze pregresse di alcuni.

D’altronde, esistono perfino i “terrapiattisti” che negano le evidenze più lampanti della geografia. Pensiamo poi alle cure alternative. Certo, ne esistono alcune che hanno un razionale scientifico, ma per molte basterebbe analizzare il principio per comprendere che non esiste alcuna base sulla quale possano funzionare.

Il progetto Exscalate

MHB: Sempre l’Istituto Superiore di Sanità parla di “ingenti risorse messe a disposizione in tempi stretti”. Corrisponde al vero, questi fondi sono stati messi a disposizione anche a società come la vostra che fa ricerca avanzata o avete dovuto sborsare tutto di tasca vostra? 

SD: Ritengo sia giusto che le aziende private usino i propri fondi, a meno che partecipino a progetti specifici. In ogni caso ci sono fondi europei e italiani che possono essere utilizzati per specifiche iniziative.

Nella fattispecie, noi abbiamo beneficiato di un progetto europeo per somme molto limitate che ci hanno aiutato a finanziare il 4-5 per cento della nostra spesa complessiva. In questo ambito noi siamo tra quelli che hanno contribuito a creare Exscalate, una piattaforma software per la polifarmacologia per accelerare l’individuazione di nuovi farmaci.

Il progetto Exscalate4Cov che nel 2020 ci ha visto coordinare 33 partner di 17 Paesi diversi per lo sviluppo rapido di una prima linea di risposta farmacologica al Covid è nato proprio intorno a questo strumento grazie al sostegno della Commissione europea.

Le prossime crisi sanitarie

MHB: Nel 2021, durante il “dialogo BSO-G20” lei ha affermato che “molte altre crisi sanitarie rischiano di esplodere”. Può chiarire cosa avevate in mente?

SD: Esattamente l’approccio che lei ha dato all’inizio della nostra conversazione: come abbiamo fatto ad essere così veloci nel produrre un vaccino che ha funzionato su milioni di persone? La chiave è stata l’alleanza di pubblico e privato che ha permesso di mettere in campo il meglio della tecnologia e delle competenze scientifiche.

Ma ricordiamo che esistono molti altri killer: le patologie tumorali, quelle cardiovascolari, quelle neurodegenerative. Tutte meriterebbero la medesima unione delle forze, in quanto se affrontate con la stessa intensità e determinazione potremmo salvare moltissime vite umane.

I supercomputer 

MHB: Torniamo al Exscalate: ritiene il fatto che l’Italia disponga del quarto computer più potente del mondo (e lo usi a scopo civile) rappresenti per il nostro Paese un vantaggio competitivo 

SD: Exscalate è una piattaforma di Intelligenza Artificiale che misura le possibili interazioni degli oltre 3 mila miliardi di molecole presenti nel suo database con i target farmacologici individuati dai ricercatori nell’organismo umano.

In pratica, grazie a modelli virtuali delle molecole, studiamo come queste sono in grado di interagire con i recettori di una cellula o proteine del nostro organismo prima di testarli in laboratorio e poi in clinica.

Questo approccio espande le possibilità e abbatte tempi e costi in maniera significativa. Nel 2020, come accennavo, abbiamo applicato questo approccio anche al Covid-19, riuscendo in tempi veramente rapidi e a costi accettabili a trovare un potenziale farmaco. 

L’origine del Covid

MHB: Questa mattina su Radio BBC World hanno spiegato come negli Stati Uniti ci siano opinioni divergenti riguardo l’origine del Covid anche tra importanti agenzie governative. E qui in Francia il Premio Nobel Luc Montagnier già due anni fa aveva affermato come il virus fosse uscito dal laboratorio di Wuhan, col risultato di venire immediatamente bollato come “controversial”, o addirittura pazzo. Lei cosa pensa? 

SD: Molto onestamente non ho un’opinione: per arrivare a fare delle affermazioni, in qualunque senso, bisognerebbe arrivare a un dettaglio di informazioni che oggi, in questo clima di collaborazione internazionale ridotta, mi sembra impossibile ottenere. Rischieremmo di entrare in quel vortice di opinioni basate su preconcetti che ci porterebbero a scontri senza ragione. 

Disinformazione e diritti individuali 

MHB: I media hanno diffuso spesso le opinioni più estreme, come nel famoso caso dell’ascoltatore di Radio24 che pur con la febbre rivendicava in onda di fare la sua vita normale e andare al supermercato a infettare gli altri, per poi morire dopo pochi giorni. A fronte di questi estremi abbiamo visto media cavalcare l’effetto spettacolare di comportamenti addirittura fuori legge, ma anche una censura preventiva applicata a persone che esprimevano in modo civile e argomentato opinioni non mainstream. E il punto è: è possibile combattere la disinformazione senza operare censure che intaccano i diritti individuali? 

SD: Quella del rapporto tra scienza e diritti è una questione complessa. Presuppone che noi già nelle scuole dovremmo dare a tutti i nostri ragazzi e ragazze una formazione anche di tipo scientifico. La scienza è neutra: se mostri qualcosa, un risultato confermato dalla sperimentazione, chiunque deve essere in condizioni di riprodurre nella stessa maniera lo stesso risultato.

Le persone con questo tipo di formazione lo capiscono e non contestano i fatti. Noi in Europa, in particolare in Italia, siamo nella situazione che se uno non sa chi è e cosa ha fatto Alessandro Manzoni viene giustamente criticato, ma se non sa spiegare, per esempio, cosa sia la molecola H2O, è normale.

Questo ci ha portato ad un disallineamento che consente l’argomentare di tutti. A essere tutti “allenatori della nazionale” anche nelle materie più complesse. Con queste premesse, non stupisce che persone senza alcuna preparazione specifica abbiano avanzato proposte di soluzioni che venivano perfino prese in considerazione.

Virologi e infettivologi sono diventati milioni nel nostro Paese e in altri moltiplicando i messaggi e generando confusione. I media talvolta sono complici nel moltiplicare indiscriminatamente i punti di vista per fare audience.  

Eccesso di mortalità

MHB: Era davvero così mortale questo virus come ci è stato fatto capire all’inizio? Perché osservando il numero di morti, riportato in un nostro articolo sulla base di dati Istat, si ha l’impressione che siano decedute solo persone deboli o anziane, che probabilmente sarebbero decedute comunque. Altrimenti come spiegare la mancanza di un picco di decessi nel 2021?

SD: Sì. Lo era. La caratteristica del virus nella prima fase era davvero molto grave e io personalmente ho perso anche qualche amico e coetaneo. I dati raccolti dalla Johns-Hopkins University di Baltimora, negli Usa, mostrano chiaramente che, nella prima fase dell’epidemia, quando non avevamo farmaci specifici, Sars-Cov2 era più letale dell’influenza stagionale anche se non così letale come il virus Ebola o altre malattie infettive emerse negli ultimi anni.

Non era però solo un problema di rapporto del numero di contagiati-deceduti; il problema è anche quanto è contagiosa la malattia, e il Covid è molto contagioso. Adesso che i vaccini ci proteggono, questo fattore è passato in secondo piano ma era proprio la combinazione del tasso di mortalità e dell’infettività che rendeva questa malattia così pericolosa.

Inoltre, l’esplodere del numero di ricoverati, aveva messo in crisi le terapie intensive e quindi tutto il sistema ospedaliero, creando problemi anche a chi non era affetto da Covid.  

La tecnologia mRNA

MHB: Pfizer, Moderna, da loro sono venuti i farmaci più efficaci contro il Covid. Insegnandoci così che esiste una tecnologia nuova, quella che utilizza l’RNA messaggero. Quale è la situazione della ricerca in Italia in questo campo specifico?

SD: La tecnologia mRNA è nota da molto tempo, non se ne era parlato più di tanto ed erano poche le società che se ne occupavano perché prima del Covid nessun farmaco basato su quella tecnologia era autorizzato. Per quello stesso tipo di cautela che prima descrivevo, da parte delle agenzie regolatorie si era preferito dare priorità alle tecnologie già validate.

In altre parole, se per una certa applicazione esistevano farmaci basati su mRNA ed altri tradizionali la precedenza veniva data a quelli tradizionali. Questo però è cambiato con l’approvazione dei vaccini a base di mRNA, grazie ai quali abbiamo rapidamente ottenuto farmaci molto avanzati con una tecnologia più innovativa di quella tradizionale basata sul Dna o su frammenti proteici del virus.

Perché, come saprete, l’RNA messaggero è naturalmente parte del ciclo cellulare che permette di tradurre l’informazione codificata nel Dna in proteine. Di fatto si lavora sul segnale in maniera molto sofisticata grazie a quello che potremmo definire il software cellulare.

Non ci sono al momento sviluppi di farmaci di questo genere da parte di aziende italiane, mentre a livello internazionale ci sono almeno una decina di aziende che stanno sviluppando altri farmaci basati su questa tecnologia anche per altre patologie come i tumori.

Terapia genica

Ci sono però diversi istituti italiani che hanno competenza nel campo dell’mRNA, ma non mi focalizzerei troppo su questo aspetto, perché la ricerca italiana è all’avanguardia nella terapia genica che promette di trattare malattie gravissime e incurabili. Come dicevo, su questo fronte l’Italia ha aperto la strada con il professor Claudio Bordignon, il primo al mondo ad utilizzare questo approccio. E oggi abbiamo numerose charities – penso a Telethon – che stanno finanziando programmi avanzati di terapia genica. 

Modelli virtuali delle molecole candidate a diventare principi attivi di nuovi farmaci visualizzate tramite Escalete4Cov

Pochi fondi alla ricerca 

MHB: Quindi l’Italia non è indietro…

SD: Tutt’altro, siamo un Paese scientificamente avanzato e competitivo. Il problema è che il nostro investimento in ricerca scientifica è circa l’1 per cento del Pil. Siamo ancora molto distanti dall’obiettivo del 3 per cento che pone l’Unione europea.

E questo rientra indirettamente nella problematica di cui parlavo, una società dove la cultura scientifica non è quella dominante. Per fortuna esistono eccezioni, l’industria diagnostica, l’industria medtech dove competiamo a livello mondiale con ricercatori che pubblicano sulle migliori riviste, quelle dove scrivono i migliori ricercatori al mondo. 

Startup 

MHB: Nel mondo dell’informatica i giganti attuali – Apple, Facebook, Oracle – sono nati in un garage su iniziativa di giovani che spesso neppure avevano terminato gli studi. Nel vostro campo c’è spazio per un giovane che ha buone idee, è possibile oggi fare nascere un’azienda che diventi grande sulle idee e il lavoro di un giovane, o qualcosa di strutturale nel vostro campo lo rende impossibile?

SD: Il settore delle Life Sciences premia le idee innovative ma è molto diverso da quello del digitale. Il nostro scoglio è innanzitutto quello regolatorio. Noi siamo obbligati a sviluppare secondo metodologie precise, come la GCP (Good Clinical Practice) e la GVP (Good Pharmacovigilance Practice). Si tratta di metodologie che impongono dei criteri di riproducibilità, monitoraggio e verifica molto stretti per tutti gli studi clinici.

C’è poi la parte economica che è importante. I costi possono arrivare a 150-200 mila euro a paziente. E, a seconda del tipo di farmaco e di patologia, c’è bisogno di molti pazienti: da qualche centinaio a migliaia. Inoltre, i tempi per arrivare ad un prodotto sono attorno agli otto anni e mezzo/nove. Perché se non usi queste metodologie il valore del tuo lavoro è zero.

Ecco, queste complessità rendono molto difficile andare a chiedere soldi al venture-capital, perché occorre sostenere uno sviluppo di anni con molti rischi. La risposta al Covid è un esempio: ha avuto risultati chi aveva investito in quella tecnologia dieci anni fa. E c’è voluta una causa esterna, non prevista.

Ma non voglio che i giovani si scoraggino: ci sono investitori, venture capital, charities, imprenditori, bandi pubblici: è un percorso complesso ma non impossibile

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