Il dietrofront non basta. Perché il ministro Valditara dovrebbe dimettersi

Il dramma del governo Meloni non è non combattere le guerre culturali, non comprendendone l’importanza, ma combatterle addirittura al fianco dei propri avversari

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Per una volta alla base di una richiesta di dimissioni di un ministro, che avanziamo dal nostro piccolo vascello corsaro, non ci sono le solite pretestuose e spesso infondate inchieste giudiziarie, ma motivazioni politiche.

Parziale retromarcia

Sconfessato e pressato dalla sua stessa maggioranza, il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara è dovuto correre ai ripari annunciando poche ore fa una parziale retromarcia. Anna Paola Concia, Paola Zerman e suor Monia Alfieri non saranno più garanti del progetto “Educazione alle relazioni”. Ma la precipitosa ritirata del ministro, che si lascerà alle spalle la sfiducia della sua stessa maggioranza e le furiose polemiche della sinistra, non è sufficiente, non può bastare. E spieghiamo perché.

Il problema non sta nelle persone che erano state scelte come “garanti” del progetto. Oddio, non solo. Secondo voi un governo di sinistra avrebbe messo qualcuno del Forum delle famiglie, che so un Simone Pillon, in un triumvirato del genere?

Ora, grazie a Valditara, la levata di scudi per la nomina di Anna Paola Concia verrà bollata come l’ennesima prova di omofobia e sessismo a destra, mentre si tratta di una frustrazione fisiologica di chi ha visto nuovamente tradite le sue aspettative di avere in certi ruoli, almeno quando la propria parte politica è al governo, qualcuno di orientamento politico affine.

Monopolio pubblico

No, il problema fondamentale, e a nostro avviso grave, è il progetto di “rieducazione” in sé, come è stato osservato su questo sito da Nicola Porro e su Libero da Daniele Capezzone. È la pretesa statale di entrare a gamba tesa in una materia così personale come gli affetti e le relazioni, in un contesto tra l’altro di quasi totale monopolio pubblico dell’istruzione e di mancanza di fatto di libertà di scelta educativa per le famiglie – che su questioni così delicate diventa evidentissima e preoccupante.

Da genitore non accetterei mai che i miei figli venissero rieducati ai sentimenti secondo gli indirizzi di una commissione statale, sia essa composta da lesbiche, etero, trans, suore o burocrati ministeriali. Ma di fatto, a meno di non essere particolarmente benestanti, non ci vengono offerte nemmeno delle alternative educative. Dovremmo continuare a finanziare con le nostre tasse il sistema pubblico, dovendo investire altrettanto in una delle poche scuole “private” (le quali comunque risentono della cappa di conformismo culturale). Quanti se lo possono permettere?

Emergenze inesistenti

La principale responsabilità del ministro Valditara è non aver avuto il coraggio di dire – e nemmeno la capacità di pensarlo temiamo – che non esiste alcuna emergenza femminicidi in Italia, nessuna emergenza patriarcato, come mostrano i dati stessi che abbiamo riportato qualche giorno fa su Atlantico Quotidiano. Sì, siamo “negazionisti” anche su questo.

Così come non esiste alcuna emergenza climatica e nonostante questo il governo, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni al ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, continui ad alimentare la narrazione climatista e a sostenere gli obiettivi di decarbonizzazione, sebbene illudendosi che possa esisterne una pragmatica, mentre nel frattempo stiamo buttando miliardi e accelerando il processo di deindustrializzazione.

Resa al femminismo woke

Il progetto che definirei piuttosto di “Rieducazione di genere”, volto cioè alla colpevolizzazione dei maschi, prende vita essenzialmente dalla falsa premessa che tutti i maschi siano colpevoli e potenziali femminicidi (come spiegare altrimenti l’assenza di un uomo tra i “garanti”?).

Il progetto in sé è un inaccettabile cedimento, non al femminismo classico, il cui contributo importante allo sviluppo della nostra società è fuori discussione, ma al femminismo woke, che promuove invece una assurda guerra tra i sessi di matrice marxista, il cui fine ultimo non sono i diritti delle donne e la parità tra i sessi, ma la destrutturazione della società occidentale basata sulla responsabilità individuale e l’uguaglianza davanti alla legge, attraverso una lotta di classe multi-dimensionale (razza, genere, orientamento sessuale etc).

Il rispetto

Il rispetto è senz’altro un valore a cui le nostre scuole dovrebbe educare. Ma non è un valore da “somministrare” in un’ora di “lezione”. È qualcosa che si costruisce quotidianamente, a cominciare dal rispetto delle regole. Ed è questo, innanzitutto, che nelle nostre scuole è saltato. È saltato il momento della punizione di chi non si comporti educatamente e in modo adeguato al contesto in cui si trova, mancando di rispetto ai compagni, agli insegnanti, ma anche semplicemente ai luoghi e ai beni messi a disposizione, da un libro fino ai bagni.

Temendo di umiliare e provocare traumi, nelle nostre scuole è sparito il momento della punizione e il corpo insegnanti ha perso la propria autorevolezza. Ma l’impunità, il senso che tutto sia consentito, che alle proprie azioni non corrispondano delle conseguenze, e che non si sarà mai chiamati a rispondere per le proprie azioni, è all’origine del degrado morale.

Un cavallo di Troia

Sappiamo già cosa entrerà da questo portone aperto da Valditara, lo abbiamo visto accadere in America. Ed è ingenuo pensare di circoscrivere l’ambito del “progetto”, o di esercitare un controllo burocratico sui materiali utilizzati, con i corsi di Indire e la consulenza dell’Ordine degli psicologi e pedagogisti.

L’ideologia woke e gender ha già le sue maestranze nelle scuole e nei ministeri, nel mondo delle associazioni e nelle altre agenzie culturali del Paese. Il governo di centrodestra oggi lancia un progetto, predispone delle strutture, individua delle figure, autorizza un percorso, sdogana un’agenda ideologica. Un prossimo governo di sinistra sarà legittimato ad usare e a sviluppare queste armi di indottrinamento con tutta la spregiudicatezza di cui è capace. Insomma, un vero e proprio cavallo di Troia per far passare l’ideologia woke e gender nelle scuole.

Le guerre culturali

Il dramma del governo Meloni non è non combattere le guerre culturali, non comprendendone l’importanza, ma è combatterle addirittura al fianco dei propri avversari. La nostra non è una banale accusa di “intelligenza con il nemico”. Si tratta di una grave sudditanza culturale e psicologica da parte di chi proclama di voler contrastare l’egemonia culturale della sinistra. Ma come contrastarla, se si adottano le stesse analisi, le stesse parole d’ordine, le stesse premesse ideologiche, e persino le stesse persone?

Se c’è un ministro che avrebbe dovuto comprendere l’importanza delle guerre culturali è proprio il ministro dell’istruzione. Con la sua iniziativa Valditara dimostra di non essere l’uomo giusto al posto giusto. Per non parlare di altri fallimenti in corso d’opera. Dopo un anno, non si intravede un’ombra di quel “merito” che era stato persino introdotto nella nuova denominazione del suo Ministero. Abbiamo visto solo aumenti a pioggia per il personale della scuola. Così come nessuna iniziativa per la libertà di scelta educativa.

Francamente siamo stufi di chi usa le posizioni di governo ottenute grazie ai voti degli elettori di centrodestra per, all’atto pratico, compiacere la sinistra, collezionare medagliette di correttezza politica e costruirsi un profilo bipartisan per futuri incarichi.

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