La lezione di Djokovic, la libertà di scelta e le nuove emergenze

Il rischio concreto che la nuova ideologia ambientalista soppianti quella sanitaria riproponendo l’armamentario di norme, divieti e obblighi. Basta una scintilla

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Nel mare magnum della comunicazione sanitaria sempre a senso unico, è passato sotto traccia l’insegnamento che Novak Djokovic ha consegnato ad Aldo Cazzullo nel corso di un’intervista al Corriere della Sera.

Djokovic pro-choice

Il campione serbo è stato abile a portare il discorso sul terreno che gli interessava, anche per togliersi inevitabilmente qualche sassolino dalla scarpa:

Ho subìto tutto sulla mia pelle. Molte persone hanno apprezzato che io sia rimasto coerente. Il 95 per cento di quello che è stato scritto e detto in tv di me negli ultimi tre anni è totalmente falso.

Con questo preambolo assai efficace ha preparato con sagacia il colpo successivo, andato a segno come uno dei suoi proverbiali rovesci.

Io non sono no vax e non ho mai detto in vita mia di esserlo. Non sono neppure pro vax. Sono pro choice: difendo la libertà di scelta. È un diritto fondamentale dell’uomo la libertà di decidere che cose inoculare nel proprio corpo e cosa no. L’ho spiegato una volta alla Bbc, al ritorno dall’Australia, ma hanno eliminato molte frasi, quelle che non facevano comodo.

Nella sua disarmante semplicità, si rivela un ragionamento ineccepibile e decisamente liberale. Per quanto si sia provato ad avvelenare i pozzi etichettando con epiteti offensivi chiunque non si allineasse ai dogmi sanitari, questo assunto dovrebbe essere il fondamento di ogni società moderna e democratica.

Invece, sappiamo bene che l’impostazione moralistica e “collettivista” ha di fatto compresso il campo delle libertà individuali permettendo al potere statale di incidere profondamente su scelte personali attraverso obblighi e coercizioni.

L’eccezione Italia

Proprio sul Corriere, nella sua rubrica domenicale, Aldo Grasso si era scagliato ancora una volta contro i complottisti, negazionisti, no-vax e contro i politici (nello specifico, si riferiva a Giorgia Meloni) contrari ai trattamenti sanitari obbligatori. Eppure, bisognerebbe ricordare a Grasso (ma non solo a lui) che l’Italia ha rappresentato un’incredibile eccezione nel panorama occidentale imponendo norme severissime e liberticide.

Tanto è vero che il Washington Post definì il nostro Paese un laboratorio in cui era in atto un esperimento sociale per testare la resistenza (molto tenue) della popolazione rispetto alle norme sempre più draconiane. Non è certo qualcosa di cui vantarsi, anche se il ministro Roberto Speranza nell’ora del commiato con la sua consueta enfasi parlò della campagna di vaccinazione (spinta da Green Pass e restrizioni, ndr) come di un patrimonio del Paese.

Modello per nuove “emergenze”

La verità è che l’eredità lasciata dall’approccio intransigente è stata ben altra. Basti pensare a come la gestione sanitaria sia diventata per alcuni il modello per rispondere a nuove ipotetiche emergenze con norme generalizzate e uniformi come nel caso delle mascherine.

Il suggerimento è venuto dall’ex presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, che ne ha parlato nel corso di un convegno a Montecitorio di cui ha dato conto Maddalena Loy su La Verità. Per cui, c’è il rischio concreto che la nuova ideologia ambientalista soppianti quella sanitaria riproponendo l’armamentario di norme, divieti e obblighi.

D’altronde, la legislazione pandemica è stata ritenuta ragionevole dalla stessa Consulta che ha usato come paradigma del giudizio di costituzionalità anche “le risultanze del sapere scientifico”. Con queste premesse, non c’è molto da star sereni anche perché basta una piccola scintilla per far ripartire la giostra.

Il Giro d’Italia

È emblematico quanto sta accadendo al Giro d’Italia che è diventato una corsa a eliminazione tra atleti positivi ritirati e altri ancora in corsa. Una situazione al limite del paradossale che ha portato addirittura al ritorno delle mascherine per ciclisti e tifosi.

Così, a emergenza terminata, sventola ancora uno dei vessilli dell’epoca pandemica rispetto alla quale c’è un rigurgito nostalgico testimoniato dal riattivarsi di alcuni esperti come Walter Ricciardi il quale ha dichiarato che “il Covid fa ancora danni perché continua a circolare in maniera importante”. Che poi i ciclisti rischino di più l’integrità fisica per un’eventuale caduta che per il virus venuto dalla Cina è un dettaglio insignificante.

L’importanza della narrazione

L’importante è rilanciare la narrazione non appena se ne presenti l’occasione, anche per evitare che si mettano in discussione le scelte dell’ultimo triennio nonché il modo in cui sono state veicolate alle persone. A questo proposito, ci pensa lo stesso Djokovic a chiudere il cerchio:

Il sistema, di cui i media sono parte, esigeva un bersaglio, che fosse opposto al mainstream; e lo sono diventato. Mi hanno messo l’etichetta di no vax, una cosa del tutto falsa, che ancora adesso mi fa venire il mal di stomaco. 

In pratica, il tennista serbo incarna il prototipo del reietto, del capro espiatorio offerto al pubblico ludibrio. È chiaro che, se il variegato mondo dell’informazione avesse eretto un argine contro il dilagare delle norme pandemiche, sarebbe stato più arduo trasformare l’Italia nel laboratorio di cui ha scritto a ragione il Washington Post.

Al contrario, si persevera nel racconto pedagogico, nell’additare come negazionisti pure coloro che contestano gli eco-estremisti, nel martellante invito a ripensare i nostri stili di vita una volta per salvarci dal Covid e un’altra per contrastare i presunti cambiamenti climatici.

In questo modo, i diritti e le libertà sono state pericolosamente relegate in secondo piano. Sacrificate sull’altare della perdurante emergenza. D’altronde, come da lezione di Thomas Jefferson, tutte le tirannie si fondano sulla paura del popolo ora stordito dalle paranoie sanitarie e dai deliri ambientalisti.

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