La missione di una destra seria: innovare senza distruggere

Domenico Fisichella: un impianto riformatore e conservatore allo stesso tempo, che considera i valori fondanti di lungo termine. Dal “dirittismo” Pd una spinta centrifuga

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Cosa significa essere conservatori, il percorso della destra da AN a Fratelli d’Italia, le riforme istituzionali e il Pd di Schlein, l’eredità di Silvio Berlusconi. Di tutto questo abbiamo parlato con Domenico Fisichella, che è stato professore ordinario di Dottrina dello Stato e di Scienza della Politica presso le università di Firenze, Roma Sapienza e Luiss. Senatore per quattro legislature (1994-2008), ministro per i Beni culturali e ambientali nel Governo Berlusconi I (1994-1995), vicepresidente del Senato per dieci anni, e per decenni editorialista di importanti quotidiani nazionali.

Da AN a Fratelli d’Italia

LORENZO CIANTI: Fratelli d’Italia ha quasi raddoppiato i numeri della migliore Alleanza nazionale (15,6 per cento il suo massimo storico alle elezioni politiche del 1996). Da erede dell’esperienza post-missina e della fiamma, il partito di Giorgia Meloni si è evoluto in una grande forza conservatrice. Qual è il fil rouge che lega Alleanza nazionale a Fratelli d’Italia? A suo avviso, può essere considerato un partito della nazione in fieri?

DOMENICO FISICHELLA: Se per partito della nazione si intende una forza politica capace di interpretare la complessità delle anime che costituiscono la nazione, questo è forse un eccesso. Ciò vorrebbe dire che il partito della nazione basta da solo. Non è così.

Naturalmente, ci sono delle istanze che sono patrimonio culturale di determinate forze politiche, come lo spirito di nazionalità, distinto dal nazionalismo. Ci sono invece altre forze politiche che, almeno in origine, erano orientate verso la classe o verso alcuni segmenti del sentire religioso. Quindi, sarei cauto nel parlare della destra come partito della nazione sotto questo profilo.

Il discorso della continuità fra Alleanza nazionale e Fratelli d’Italia può essere impostato. In questi giorni sto riguardando gli articoli che ho scritto in quegli anni e nei successivi. Una destra seria, di impianto riformatore e conservatore nello stesso tempo, considera certi valori fondanti come di lungo termine, ma non si priva della possibilità dell’innovazione, purché essa sia sviluppata su criteri di continuità e di correzione.

Il problema dell’autocorrezione è più che mai fondamentale per una forza politica che vuole il progresso, la trasformazione, la dinamica sociale senza però distruggere certi valori fondanti che, secondo me, hanno ancora un respiro e una plausibilità.

La destra è una formazione che innova senza stravolgere il patrimonio precedente, che si può modificare per approssimazioni successive, ma che non è detto si debba distruggere. La responsabilità di una destra seria è quella di ridurre gli spazi delle sbandate possibili, che sono sempre un rischio – soprattutto quando si opera con riferimento ai grandi numeri sociali.

Presidenzialismo o premierato?

LC: Uno tra i punti cardine del programma di centrodestra è la riforma in senso presidenzialista. Tuttavia, nelle ultime settimane è subentrata l’ipotesi del premierato. Quale riforma delle istituzioni può garantire maggiore efficienza decisionale e stabilità governativa?

DF: L’elezione diretta del capo dello Stato per me non è un fatto positivo. Trovo più plausibile l’elezione diretta del capo del governo in contemporanea con l’elezione del Parlamento. Il capo dello Stato può rappresentare un’incognita.

Viene eletto e la sua carica dura 7 anni, può durarne 14: se straparla e se stravede? È il capo delle forze armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa e il Consiglio Superiore della Magistratura. Tutti questi elementi rendono preferibile che il capo dello Stato sia espresso da una volontà del Parlamento nazionale.

Viceversa, si può giungere alla elezione su base popolare del presidente del Consiglio dei ministri, scegliendo adeguatamente il sistema elettorale. Se ciò avviene in contemporanea con l’elezione del Parlamento, si fa in modo che la durata del governo sia plausibilmente (salvo riconferme) pari a quella del Parlamento, in un quadro nel quale se c’è la sfiducia costruttiva si può cambiare, ma se manca l’elemento di costruttività si rischia di provocare degli squilibri nel rapporto fra Parlamento e capo del governo. La mia opzione è per l’elezione diretta del capo del governo in contemporanea con le elezioni parlamentari.

Il “dirittismo” di Schlein

LC: La nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, ha liquidato qualsiasi riferimento alla vocazione maggioritaria già promossa da Veltroni. Posizioni estreme sui diritti, tesi maltusiane in materia ambientale, richiami ubiquitari al ritorno del fascismo. Che identità ha – se possiamo parlare d’identità – il Pd di Schlein? Non trova vi sia un allontanamento persino dalla formula del partito radicale di massa, coniata da Augusto Del Noce?

DF: Ad ogni diritto deve corrispondere un dovere, tanto per cominciare. Non si può immaginare che ci siano solo diritti e che non ci sia mai il corrispettivo di un dovere come fattore morale, civile e anche giuridicamente consacrato.

Non vi è dubbio che il dirittismo dia luogo ad una spinta centrifuga nella società civile. Tutti si considerano titolari di tutti i diritti, ma in questo modo ciascuno può turbare o vulnerare anche i diritti altrui.

In questa accentuazione della nuova segreteria del Partito democratico è presente una logica della ipertrofia del diritto. Colgo un eccesso che sottovaluta non solo certi principi relativi ai diritti sul piano giuridico, ma anche i doveri di tipo etico, che non sono una cosa disprezzabile nelle società. Le società civili non sono gestite soltanto dalla legge. Ci sono i costumi: se questi degradano oltre certi limiti allora c’è un disagio ineludibile, poiché si crea una contraddizione tra il diritto e i costumi stessi.

Una degenerazione marcata dei costumi porta a confondere il diritto e la libertà con l’arbitrio, due categorie molto distanti. L’arbitrio, che apparentemente è il massimo della libertà, finisce per diventare il massimo della prevaricazione. Il più forte ha più diritti, rivendicando il proprio arbitrio sulla pelle degli altri. Anche perché non si rivendica l’arbitrio verso una categoria astratta, ma necessariamente nei confronti degli altri. Questo è un aspetto che non si può trascurare.

LC: Ricordo un suo intervento televisivo nel quale rimarcava il discrimine tra la libertà e la licenza.

DF: Certo. La licenza si configura come la capacità di esprimersi in maniera arbitraria.

Una nuova geografia politica

LC: Negli ultimi anni si è verificato un ribaltamento della geografia politica tradizionale, che vedeva le periferie urbane schierate a sinistra e i quartieri benestanti a destra. È stato per tre legislature consecutive (1994-2006) il candidato vincente nel collegio uninominale Roma-Trieste del Senato della Repubblica, dove il centrodestra ha ottenuto percentuali importanti. Crede che se si rivotasse oggi nello stesso collegio la situazione sarebbe diversa?

DF: Per cercare di capire come succedano certi fenomeni, potremmo riconoscere che una certa borghesia si sia indebolita e una certa classe meno attrezzata dal punto di vista socio-economico si sia arricchita. Non voglio banalizzare, ma in linea di massima c’è stata una contrazione dei ceti meno agguerriti economicamente perché è cresciuto il loro tenore di vita, e nello stesso tempo, si è abbassata la condizione di parte della borghesia.

Possono intervenire altri elementi. Il nazionalismo nasce a sinistra, poi quand’è che diventa di destra? Quando i comunisti dicono: “proletari di tutti i Paesi, unitevi”. Con il 1848 inizia la transizione di un certo ceto dalla sinistra alla destra. Prendiamo ad esempio la Rivoluzione francese: è più un fenomeno di sinistra che di destra. Stiamo trasferendo delle categorie che erano soltanto in nuce all’epoca, intendiamoci bene.

C’è stato un maggiore livellamento di identificazione socio-culturale e questo fa sì che certe aree sociali votino di volta in volta a sinistra o a destra. Nei collegi uninominali come quello in cui sono stato eletto le preferenze variano in base alle personalità presentate dai diversi schieramenti politici.

L’eredità berlusconiana

LC: Forza Italia è Berlusconi, Berlusconi è Forza Italia: un binomio impossibile da scindere. Ora che Silvio Berlusconi è venuto a mancare, in che modo pensa che l’eredità berlusconiana potrà sopravvivere?

DF: Il berlusconismo è emblematico, ma questo non significa necessariamente che sia entrato nel profondo della coscienza collettiva della società civile. C’è stato un periodo di sbandamento sociale anche in Italia e di questo sbandamento ha avuto vantaggio il centrodestra.

Un dato che va messo nel conto è la caduta della partecipazione elettorale. Bisogna vedere quanta gente del centrodestra o del centrosinistra non vota. Non credo che enfatizzare oltre certi limiti una personalità come tale sia un dato realistico. Voglio vedere fra venti giorni cosa accadrà: le società volatili (e questa è una società pienamente volatile) dimenticano presto quasi tutto.

Possono agire moti di reazione legati ad un frangente temporaneo, che procedono in una direzione piuttosto che nell’altra. Però, se devo vedere una tendenza che sembrerebbe essere robusta, direi il distacco per astensione dei cittadini rispetto al sistema politico democratico – e non è solo un fatto italiano.

Astensionismo e democrazia

LC: La disaffezione verso la politica accomuna quasi tutte le democrazie occidentali. L’affluenza si mantiene bassa anche negli Stati Uniti.

DF: In numerose circostanze si è avuto un basso livello di partecipazione negli Stati Uniti, ma nella fattispecie spesso vuol dire che la gente è tranquilla, indipendentemente dalla vittoria dei Democratici o dei Repubblicani. Se vuoi votare negli Stati Uniti è necessario iscriversi alle liste elettorali. Gli Stati Uniti sono una delle grandi nazioni del nostro tempo e questo aspetto può essere il prodotto della consapevolezza dei cittadini.

LC: Significativa la partecipazione elettorale in Turchia, dove si è recentemente votato per le presidenziali. Non coincide però con una maggiore democraticità.

DF: Bisogna distinguere tra partecipazione e mobilitazione. Non è detto che un Paese di modesta vocazione democratica come la Turchia dia luogo ad un processo di partecipazione; si può dare luogo a processi di mobilitazione che spesso finiscono per essere cruenti. Ce lo dice la storia della Germania in un certo periodo.

Un ricordo di Berlusconi

LC: Presidente, un ricordo personale di Silvio Berlusconi.

DF: Era un magnate, un uomo economico a 360 gradi. Poteva continuare a fare quello che sapeva fare splendidamente, cioè guadagnare. Ha deciso ad un certo punto un impegno in politica che per lui è stato purtroppo molto poco giovevole e costoso, umanamente e sotto altri profili.

Questo significa che tutto sommato, nonostante la singolarità del protagonista, Berlusconi ha sentito una sorta di obbligo civile, perché non credo che si sia messo a fare politica per guadagnare di più. Poteva continuare a fare i suoi affari non immischiandosi nella politica.

Nel momento in cui si è immischiato nella politica ha avuto più costi che benefici dal punto di vista umano. Naturalmente, cose di questo genere le fanno uomini che hanno una visione globale del loro impegno nella società. Berlusconi ha ritenuto di dover onorare questo livello d’impegno sociale.

Direi che il suo ingresso in politica è stato dettato da un sentimento dell’importanza della dimensione pubblica dell’esistenza, non soltanto di quella privata, civile ed economica.

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