Fuori dalle tifoserie politiche, lontano dagli hooligans: il diritto a non essere militarizzati, a non avere pregiudizi, a “spacchettare” le questioni

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Un politologo acuto come Luigi Di Gregorio lo spiega da tempo: per la piccola Italia, quella del 4 marzo è stata la prima campagna elettorale nazionale anche “social”, anche giocata nella tempesta emotiva perpetua (ventiquattr’ore su ventiquattro, senza interruzioni) che i social media determinano, e con una rissa costante non solo tra i leader politici ma anche tra gli elettori.

Sappiamo bene quale sia la dinamica degli algoritmi di Twitter, non troppo dissimile (se non per estensione e violenza) da quella di una rissa al pub tra avventori che hanno bevuto una birra di troppo: è sempre premiata la posizione estrema, l’urlo più forte, che a sua volta “richiama” altre urla, se non peggio.

Applicate tutto questo a un paese come l’Italia, diviso su tutto e dalle istituzioni fragili, e il risultato è facile da immaginare: il dominio delle tifoserie politiche, con hooligans organizzati che spadroneggiano.

Il trattamento mediatico (prescindo in questo caso da qualunque valutazione di merito) dell’intesa tra Lega e M5S è un esempio da manuale di tutto questo: sui grandi media, nei giornali, nei talk-show, sono previste solo due parti in commedia. O i superfavorevoli, chiamati a giustificare tutto, o i supercontrari, convocati per sparare ad alzo zero “a prescindere”.

Ammetto che anche nei grandi paesi occidentali la dinamica stia evolvendo in quella direzione, ma – almeno lì – restano anche degli spazi per argomentare fuori dalle curve. Ok, ci sono (ci devono essere!) i due litiganti, ma poi, nella “public conversation”, un ruolo decisivo è anche quello di soggetti veramente (non fintamente) terzi, che rivendicano il diritto al dubbio, a porre questioni, a incoraggiare o a scoraggiare. O anche soggetti culturalmente e politicamente schierati, ma che – per loro onore e dignità intellettuale – distinguono le questioni su cui concordano con il proprio schieramento di riferimento da quelle su cui si riservano un esplicito diritto al dissenso.

Nell’Italia del 2018, mi sembra particolarmente necessario valorizzare i luoghi (si contano su poche dita delle due mani di un grande mutilato…) che siano capaci e desiderosi di non essere militarizzati, di non avere pregiudizi, e anche di “spacchettare” le proposte politiche.

Dove sta scritto che ci si debba “far piacere” un’offerta politica in blocco? Si può, anzi si deve esercitare l’arte liberale della distinzione: uno può essere critico di questa Unione europea ma rimanere fortemente atlantista e non volere affatto un’Italia sotto l’ombrello putinista; uno può essere molto a favore dei tagli di tasse, senza con ciò dimenticare l’esigenza di mettere sotto controllo spesa e debito.

Sono solo due esempi banali. Ma occorre rivendicare con forza il diritto alla sfumatura, alla nuance, alla diversificazione delle risposte. Per tutto il resto, è sufficiente il coro in curva.

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