Green Pass e non obbligo: ecco i giochi di parole per aggirare i paletti della Costituzione

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 22 febbraio 2020

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È già un segno dell’isterismo che pervade il Paese, contro un untore diabolico esorcizzato con il nome di no vax, il dover far precedere ad un discorso sol di poco fuori dal coro, il fatto di essersi vaccinato con doppia dose e di essere disponibile a ricevere la terza, nella mia condizione di ultraottantenne. Sarebbe anzitutto il caso di affermare che il distinguo fra green pass e obbligo di vaccinazione è un autentico sofisma, perché non si vede proprio in che si differenziano sostanzialmente, quando il green pass diviene una condizione per poter percepire una retribuzione, senza che valga provare che senza si è destinati a… morire di fame. Anzi non è detto affatto che l’introduzione di un obbligo di vaccinazione dovrebbe essere necessariamente accompagnato da una tale sanzione, dato che l’art. 32 Cost., co. 2 che ne permette l’introduzione, la condiziona non solo nella fonte, la “legge”, ma anche nella modalità: ”non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Per lo meno qualche dubbio potrà pur essere sollevato circa l’osservanza di una tale modalità, una volta che la violazione dell’obbligo conduca alla sospensione di quella retribuzione, che deve presumersi essere necessaria a condurre una vita libera e dignitosa.

Parlando di green pass invece che di obbligo, con un autentico gioco di parole, si pensa di evitare un confronto troppo aperto col testo costituzionale, non solo da questo punto di vista ma anche da un altro non meno evidente, tanto che il confutarlo è diventato una sorta di luogo comune, fatto proprio dal nostro stesso presidente della Repubblica, col suo solito tono paternalista-moralista, che ne farebbe un buon curato di campagna. Non si avrebbe una restrizione della libertà individuale, ma addirittura una sua estensione, dato che così si potrebbero svolgere tutte quelle attività che altrimenti sarebbero precluse. Ora, tradotto in parole povere, uno diventerebbe più libero perché legittimato a superare quei limiti che lo hanno reso meno libero, condannandolo quasi a confinarsi in casa, visto il numero delle preclusioni a finire con quella della percezione della retribuzione. Ma sono quei limiti a contare con riguardo alla libertà individuale, che intanto viene ristretta, tanto da potersi poi esplicare solo col loro pieno rispetto, che allora non può essere intesa come una riaffermazione di tale libertà, perché costretta ad esercitarsi entro rigidi argini predeterminati. Tale libertà nella prospettiva dell’art. 32, co. 2 Cost., non può essere superata neppure quando paia in contrasto con la stessa salute o addirittura sopravvivenza della persona, se pure in base alla più concorde e competente valutazione clinica, quindi risulta assoluta e incondizionata. Alla persona viene lasciata una pista libera, dove può correre o meno, non una pista ad ostacoli, dove deve correre saltandoli a dovere.

Se è comunque l’art. 32, co. 2, Cost. a venire in rilievo, il problema non è dato dal conflitto della libertà individuale con quella collettiva, che sarebbe limitata dal trovarsi esposta all’infezione in misura statisticamente superiore a quella altrimenti assicurata dal green pass, ma dal necessario compromesso fra libertà individuale e sanità pubblica. Come tale, peraltro richiede l’assenza di alternative e la proporzionalità della misura presa, cosa che di per sé non può essere motivata a sufficienza da una presunta unanimità della scienza con la “S” maiuscola, quale personificata da un Comitato tecnico scientifico e da un coro di virologi, epidemiologici, pneumologi, competenti vari, emersi dall’anonimato alle piene luci della ribalta. Con la politica della salute ben diversa praticata dai diversi Paesi, tanto per citare gli opposti rappresentati dal Regno Unito e dall’Italia, non si può certo parlare di una unanimità della scienza, trattasi di scelte effettuate dalla politica, che dovrebbero essere discrezionali non arbitrarie, sì da meritare motivazioni approfondite e trasparenti. Niente di tutto ciò in quel che viene sparso a piene mani dal governo, dalle istituzioni, dai mass media, con una uniformità tambureggiante, che continuamente smentisce se stessa, a cominciare dalla famosa immunità di gregge, spostata sempre più avanti, 75, 80, 85, 90, 95 per cento, fino ad annullarsi a favore di una vaccinazione totale.

Parlare di green pass al posto dell’obbligo serve a parare un confronto troppo stretto col testo costituzionale, per il doppio esame altrimenti prospettabile circa la inevitabilità e la proporzionalità della misura adottata giunta fino all’estensione della sospensione della retribuzione all’intero lavoro pubblico e privato; e, rispettivamente, circa la conciliabilità di tale sospensione con la difesa della dignità della persona. Ma non può certo evitare che lo Stato si renda per ciò stesso garante dell’equo compenso previsto dalla giurisprudenza costituzionale per gli eventuali effetti collaterali della vaccinazione, si che la dissidenza potrebbe anche adottare come forma di lotta una marea di azioni per quegli stessi danni, manifestatisi a breve o a lungo periodo.

Il governo è ben consapevole del potenziale conflitto con l’art. 32, Cost., tanto da aver previsto l’alternativa del tampone, con una copertura prolungata alle 72 ore e una calmierazione del costo, a 8 euro per i minorenni e a 15 euro per i maggiorenni, con un esborso complessivo ogni quattro settimane fra i 64 i 120 euro. Un esborso di per sé ben sostenibile da chi intende mantenere il suo rifiuto della vaccinazione, pure se in via di principio l’imposizione del tampone costituisce pur sempre un trattamento sanitario imposto per evitarne un altro più invasivo. Solo che non può sfuggire come resti pur sempre un gap di potenziale copertura fra green pass e vero e proprio obbligo di vaccino, perché il primo limita la sua estensione a quanti debbano o vogliano svolgere quelle attività che ne sono condizionate, lasciando fuori una percentuale non indifferente di chi non è tenuto o interessato a farsene carico, ad es. pensionati di piccoli centri, cioè proprio quelli più a rischio e più restii a farsi vaccinare.

Tutto ciò appare ben evidente in questo passaggio al super green pass, esteso appunto all’intero universo del lavoro pubblico e privato; ma non sfugge che sia accompagnato da una sorta di ricatto, non solo espresso ma anche enfatizzato: in presenza di una quarta ondata prevista per l’autunno, l’alternativa al super green pass sarà il lockdown, imposto in virtù dello stato di emergenza prorogato fino al 31 dicembre, con un evidente effetto di adeguamento da parte di tutto il mondo produttivo del nord e conseguente spiazzamento di Salvini vis-a-vis degli stessi governatori leghisti. Ma, a prescindere dall’avvento di una quarta ondata, neppure si sa se riconducibile ad una variante proveniente dal di fuori, resta pur sempre che pur in assenza del super green pass, la nostra percentuale di vaccinati con entrambe le dosi dovrebbe attestarsi ad oltre l’80 per cento già alla fine di settembre, per lievitare oltre nel corso di ottobre, verso l’85 per cento, non vedo come altrove tale percentuale sia considerata più che sufficiente e qui da noi no.

Certo non è il momento di trarre un bilancio, però non si può tacere di un clima mefitico, per cui ogni voce non dico contraria, ma dubbiosa su qualche caratteristica della politica sanitaria seguita, è tacciata di ignoranza quando va bene e malafede quando va male. Possibile che non si riesca ad immaginare che sia una precondizione della democrazia evitare scomuniche e condanne a priori, in quella che può facilmente trasformarsi in una caccia alle streghe? Basti rivolgere uno sguardo al recente passato, per constatare che la nostra politica sanitaria non sia stata affatto esente da errori di valutazione e cambi radicali di rotta, a finire per ora con una correzione significativa, che, cioè la doppia vaccinazione non impedisce la infezione e neppure sempre e comunque la sintomatologia, ma la mitiga fortemente specie con riguardo alla morte. Dunque, avanti con la misurazione della temperatura, la mascherina, il distanziamento, in aggiunta alla ripetuta esibizione del green pass, come ho sperimentato personalmente nel mio viaggio sull’alta velocità; non è escluso di questo passo si possa imporre anche ai vaccinati, oltre a tali misure, anche il ricorso al tampone, visto che pure essi non sono esenti dal contrarre e diffondere l’infezione.

Un trucco fazioso, largamente usato e abusato, è quello di rinchiudere nel recinto no vax, anzi addirittura in quello complottista, più o meno comparabile col terrorismo islamico, chiunque non concordi su un sì fideistico all’insegna del vogliamoci bene. Non è che qualcuno coltivi un sia pur minimo sospetto che questo possa risultare altamente indigesto, per non dire altro, anche per chi non ha avuto alcun problema a vaccinarsi: una linea di radicale intransigenza, sfociante in una visione totalitaria del tutto intollerante, è già di per sé incompatibile con la democrazia. Pur non essendo un antifascista a posteriori, come oggi pare dover essere anche il neonato che lo succhierebbe dal seno materno, mi pare di ravvisare un vizio antico di questa nostra Italia, cioè un senso attenuato per non dire anestetizzato della libertà individuale. Non sarà questo a spiegare il diverso rispetto di cui ne gode in un Paese come il Regno Unito, ben differentemente educato al riguardo dal suo passato e dal suo presente, c’è un nucleo duro della libertà individuale che non può essere diminuito e tanto meno demonizzato in forza e ragione del bene comune, se non a prezzo di un giacobinismo sfociante in un regime tendenzialmente totalitario.

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