Il professor Becchi ad Atlantico: “Siamo allo stato d’eccezione permanente. Governo attaccato al virus per durare”

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Atlantico ha conversato con il professor Paolo Becchi, filosofo, accademico, saggista, commentatore, che ha appena pubblicato insieme a Giuseppe Palma (per le edizioni Historica) il volume “Democrazia in quarantena. Come un virus ha travolto il Paese”.

DANIELE CAPEZZONE: Professore, il governo è malaticcio ma il medico del Quirinale non stacca la spina, anzi sembra orientato all’accanimento terapeutico.
PAOLO BECCHI: Descrizione che sottoscrivo, anche come docente di bioetica… Non se ne esce. Per citare Battisti, potremmo dire: “Uscirne è impossibile per noi. È uno slogan falsità”. Siamo passati dal vecchio colpo di stato alla Mario Monti allo stato d’eccezione permanente. È come se si cercasse di tenere in qualche modo in vita il virus, perché è il governo che sta attaccato al virus.

DC: Quadro tutt’altro che rassicurante…
PB: Non c’è dubbio. Elezioni regionali sospese, referendum sospeso, economia ferma, università chiuse, scuole non si sa quando e come riaperte. Un Paese allo sbando. Conteremo i morti, dopo quelli causati dal coronavirus: e non si tratterà solo di morti per ragioni economiche, ma anche psicologiche, con aumento delle depressioni. Complessivamente, tornando al punto politico, è palese che questo governo non sia in grado di gestire la situazione. Prima, quando si era in emergenza sanitaria, c’è stata una gestione superficiale. Ora che il virus sembra forse più sotto controllo, si tiene comunque un Paese chiuso e bloccato…

DC: Facciamo un passo indietro e torniamo a settembre. Perché il Colle si affrettò a battezzare il Conte bis, nonostante l’evidente debolezza di una compagine giallorossa minoritaria nel Paese, assente al Nord, lontanissima dai ceti produttivi?
PB: Nel mio precedente libro (ndr: “Ladri di democrazia”, scritto sempre con Palma, edizioni Historica), ho raccontato in dettaglio, con riferimenti ai giorni e alle ore, la ripresa di trattativa che c’era stata tra Salvini e Di Maio. Dopo la rottura, scrissi un messaggio a Di Maio, pensando che non mi avrebbe risposto, e invece mi replicò: “Credi che mi faccia piacere l’accordo con il Pd?”. Il resto è noto: allora fui riservatissimo, ma mesi dopo ne ho scritto, e ovviamente conservo i messaggi. Di Maio, per ricucire, chiese che Salvini telefonasse al Capo dello Stato, si lavorò su una certa ipotesi, e si era vicini a una soluzione positiva. In fondo, sarebbe stato un esito classico: i partiti protagonisti di una crisi si rimettevano d’accordo…

DC: E invece?
PB: Non so cosa fece il Quirinale dopo la chiamata di Salvini, se il Colle richiamò Di Maio o altri. Sta di fatto che all’improvviso Zingaretti disse: “Per me va bene Conte”. E nacque il governo giallorosso, facendo naufragare la ricucitura

DC: Queste cose lei le ha raccontate a voce e per iscritto. Ma, riviste a posteriori, che lettura ne dà? Il Colle non voleva Salvini.
PB: La sensazione è esattamente questa. Non sapeva come fare, ma, quando si è creata l’occasione di estrometterlo, il Colle non se l’è lasciata sfuggire.

DC: Però ora il bilancio del Quirinale non mi pare brillantissimo rispetto a questo governo…
PB: Mi pare evidente che il governo ci stia portando alla rovina. Guardi tutti gli altri Paesi che ripartono…

DC: Però i grillini ingoieranno qualunque rospo pur di non doversi cercare un lavoro…
PB: La realtà è questa. Certo, ci sarebbe l’incognita Di Battista. Se ci fosse una crisi di governo, lui rivendicherebbe un suo ruolo. Teniamo anche presente che quello che è ancora in Parlamento il partito di maggioranza relativa non ha un capo politico. Ma il garante Grillo, fregandosene dello statuto, con la scusa del virus, ha detto che il nuovo capo politico per ora non verrà votato. E sa perché?

DC: Lo dica lei
PB: Perché, con una votazione in rete e non tra i parlamentari, Di Battista potrebbe essere vincente. E quella sarebbe la fine del governo Conte. La realtà è che Grillo (per ragioni che non dico: non voglio querele né per me né per la vostra testata) sta sacrificando i principi e un intero movimento.

DC: Quindi dobbiamo attenderci che proprio la debolezza del governo lo terrà in qualche modo in vita, oppure pensa che un tessuto logoro prima o poi si strapperà?
PB: Le due ipotesi non sono affatto in contraddizione. Certo, cercano, a partire dal Colle, di tenerlo in vita. Però, una volta Bonafede, un’altra volta un’altra situazione causale o imprevista possono innescare un incidente. Lo ripeto: non vedo contraddizioni, ma “hegelianamente”, una sintesi tra le due ipotesi iniziali.

DC: E le opposizioni?
PB: Devono alzare la voce. Io non so se Conte abbia poi tutto questo consenso in Italia… Certo, non ce l’ha più a livello internazionale. In Germania, dopo che ha negato di aver avallato il Mes quando invece l’aveva sostanzialmente accettato, il suo grado di credibilità è bassissimo. Capisco che le opposizioni siano state caute in una prima fase, pensando all’opinione pubblica, ma ora…

DC: Ma chi è Giuseppe Conte? Si è parlato molto di Villa Nazareth e dello Studio Alpa, che ci avrebbero fatto questo “regalo”…
PB: Molto si potrebbe dire, a partire dal suo curriculum accademico. Certo, venendo alla sua vicenda politica, si è mosso con abilità. Il suo colpo di fortuna, a inizio legislatura, fu il venir meno della candidatura di Giulio Sapelli, che avrebbe dovuto guidare il primo governo gialloverde. Allora venne fuori il suo nome. Lui ha capito che, tra Salvini e Di Maio, poteva essere o l’elemento di sintesi o l’elemento di rottura. Prima ha giocato in un modo, e poi (in quel momento aveva sponde in Europa) nell’altro, creando il contrasto tra i due, cosa che Salvini ha compreso prima di Di Maio.

DC: E poi?
PB: Poi ha capito che il M5S non aveva nessuno da spendere, e ha sfruttato l’opportunità. E ha un accordo totale con Grillo. Cosa che rappresenta una sicurezza dal punto di vista di Mattarella. È Grillo che lo blinda, e che quindi blinda l’asse tra Conte e il Pd.

DC: Il direttore di Atlantico Federico Punzi avanzò già in autunno l’ipotesi che il Conte bis fosse nato sin dall’inizio per l’intenzione di Berlino e Bruxelles di incatenarci al Mes, cosa che con l’esecutivo gialloverde sarebbe stata molto più difficile. Condivide?
PB: Se me lo avessero detto allora, non ne sarei stato così sicuro o convinto. Rivedendo le cose a posteriori, l’analisi mi pare condivisibile. All’epoca, sia nei loro programmi elettorali sia nel programma di governo comune sia nelle mozioni parlamentari, Lega e M5S erano contro il Mes. Con loro non si sarebbe certo arrivati a ciò a cui si è giunti ora. E a maggior ragione dopo la pronuncia della Corte costituzionale tedesca, il terribile messaggio all’Italia è: “Il QE come prima non ci sarà più. Cari italiani, per voi c’è il Mes, l’avete pure approvato… Seguite le condizionalità, e non se ne parli più”.

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