Il ricorrente richiamo della sinistra “al fascismo alle porte” dimostra in realtà la sua sfiducia nella democrazia

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E l’insistente narrazione sui presunti autogol di Salvini è essa stessa un autogol per la sinistra

Può strappare un sorriso ironico il fatto che tutto un certo mondo si affanni a ripetere che Salvini ha perso in Emilia Romagna solo ed unicamente in grazie dei “suoi errori”, con a conforto il dire del padre nobile per antonomasia, Romano Prodi; perché, dando questo per vero, ne deriverebbe che Bonaccini non ne ha merito alcuno. Insomma, è quel che si commenta in linguaggio calcistico: una squadra ha vinto non per merito suo, ma per demerito dell’avversaria, che ha fatto, per così dire, tutto da sola.

È il solito refrain del “suicidio” del leader leghista, diffuso fino a teorizzarlo in chiave pseudo-psichiatrica, all’indomani dell’agostiniano stacco della spina, senza prender atto a posteriori che, a stare ai sondaggi risultati più credibili, cioè quelli di La7, il nostro gode di un’ottima salute, tanto da attestarsi oltre il 33 per cento dei consensi; mentre, il Movimento 5 Stelle soffre di una pessima condizione, dato a qualcosa fra il 13 e il 14 per cento. Un pessimo compagno di strada, che lasciato sul bordo dalla Lega, è stato raccolto da Pd, che gli succhia consensi, ma con un crescente arrancamento nel cammino del governo giallo-rosso.

Nonostante questo, anche a proposito delle elezioni dell’Emilia Romagna si continua a rappresentare Salvini come uno che vuol farsi del male, un masochista bell’e buono, quindi per implicito un tipo mefistofelico, così potente da condizionare, in positivo e in negativo, il risultato. Naturalmente questo presuppone un giudizio circa il largo consenso da lui goduto, cioè del suo essere un pifferaio magico con dietro un codazzo incredibile di topi, resi sordi a qualsiasi altro richiamo. Nessuno può fermarlo, solo lui può fermare se stesso, sicché il fronte avversario si affida disarmato ai suoi errori, insomma conta che il nostro pifferaio magico ogni tanto stoni di brutto, meravigliandosi, che anche quando a loro sembri succedere, il codazzo incredibile di topi continui a seguirlo.

È evidente che non dico non si riesce, ma che non si vuole capire – perché altrimenti si dovrebbero rivedere alcuni tratti identitari della sinistra, a cominciare da certe ricostruzioni storiche divenute ormai insostenibili, sia per affermazioni quali quella che l’Italia sarebbe stata liberata dai partigiani e che c’è stata una sostanziale continuità nella pur evidente trasformazione del nome (Pci, Pds, Ds, Pd), come forza nazionale autonoma e garante precipua se non unica della democrazia; sia per le tendenze ad oscurare completamente le tragiche similitudini fra nazi-fascismo e comunismo staliniano o maoista. Il che fa nascere la preoccupazione che con la morte dell’ultimo partigiano o dell’ultimo reduce dal campo di sterminio, questa memoria asimmetrica si perda, mentre in realtà il rischio è solo che venga riequilibrata, come aveva cercato di fare Pansa per la guerra civile italiana, ricavandone gelido isolamento da vivo e tartufesco rimpianto da morto.

Questo, però, è solo l’inizio. Vorrei qui aggiungere un fattore non marginale del consenso goduto da Salvini, direi neppure preso in considerazione dai molti scrutatori delle propensioni dell’elettorato. E non per nulla, perché è l’esatto opposto dell’idea che il contrastarlo costituisca la difesa della democrazia, tanto da consentire ad un politico, non certo radicale come Renzi, di sostenere che, una volta vinte le elezioni, il “capitano” varerebbe riforme costituzionali eversive, dopo di che uscirebbe dall’euro. Ma possibile che né Renzi, né alcun altro dei suoi compagni di cordata, si sia chiesto se questa ricostruzione da spaventa-bambini abbia qualche risonanza al di fuori dei già “straconvinti”? E se no, se ci sia una qualche opinione per cui Salvini non è un grande statista, ma solo un politico più bravo a capire il vento che tira; per cui il suo stile e tono sia spesso non gradevole e condivisibile, per cui il programma della Lega e più in generale del centrodestra non sia condivisibile in toto o in pars magna… ma.

Già bisogna mettere in conto il ricorso stra-abusato di negare a qualsiasi presunta destra la patente di democraticità, riservata in assoluto monopolio alla sinistra, sì da delegittimare in partenza qualsiasi maggioranza possa raccogliere; e contare su coalizioni raccogliticce, su campagne ispirate da un odio contenuto a fatica, con un senso di ripulsione quasi fisica rispetto a chi la pensa diversamente, fino al punto di contrastarne o intimorirne l’espressione; sulla ossessiva enfatizzazione massmediatica di qualsiasi rigurgito di antisemitismo o razzismo, come se di per sé fosse sintomo di un sentimento condiviso dalla pancia del popolo; su un giustizialismo ad personam. No, tutto ciò non è democrazia, perché questa ha per sua regola fondamentale, costituzionalmente consacrata, che la sovranità appartiene al popolo, che certo la esprime nelle forme e nei limiti previsti, ma a cominciare dalle elezioni, che anche ad adottare una legge elettorale fortemente proporzionale non può annullare le risultanze delle urne. E, poi, su quale base dettata dall’esperienza della nostra Repubblica, si può concludere che queste forme e limiti sono così deboli, da essere travolti da una maggioranza parlamentare, chiamando a sostegno vicende storicamente ben definite come quelle di Mussolini e di Hitler? Se fosse vero non resterebbe che non far più votare liberamente, come i nostri due amici hanno fatto di conserva, ma dichiarando la morte della democrazia a favore della dittatura.

Il ricorrente richiamo della sinistra “al fascismo alle porte” è solo espressione di una loro sfiducia nei confronti della forza non solo giuridica ma ideale della nostra Carta fondamentale, rende tanto popolare, che due referendum confermativi di altrettante riforme incisive sono stati bocciati; e quello in agenda per la riduzione del numero dei parlamentari passerà a furore di popolo, proprio per la sua rilevanza relativa rispetto all’impianto costituzionale, se pur non privo di una carica contraria alla democrazia rappresentativa a favore di una mistificante democrazia diretta.

Non resta che cambiare mutuandola una famosa frase di Carville: “It’s democracy, stupid”.

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