L’agenda anti-capitalista di Biden: perché i capitalisti Usa la appoggiano e i “liberali” sono distratti

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Con la proposta di sospendere i brevetti sui vaccini, in quanto sono un “bene comune”, il presidente Joe Biden si mette in competizione con Papa Francesco come leader dell’anticapitalismo contemporaneo. L’uscita anti-brevetti è infatti solo l’ultima di una lunga serie di picconate al sistema di libero mercato, riassunte molto bene nel discorso che il nuovo presidente cattolico e Democratico ha tenuto di fronte al Congresso.

Dopo un quarantennio di inquilini della Casa Bianca che promettono di abbassare le tasse o quantomeno di non aumentarle, Biden è il primo ad ammettere candidamente che il suo programma prevede un aumento di tasse. Vuole un raddoppio delle tasse sul capital gain dal 20 per cento attuale al 39,6 per cento. E poi un’aliquota sempre del 39,6 per cento (dal 37 per cento attuale) per i nuclei familiari che guadagnano cumulativamente più di 400 mila dollari all’anno. Se Donald Trump aveva fatto storcere il naso per la sua ossessione del “comprare americano”, Biden nel suo discorso l’ha rilanciata. Dunque, oltre a maggiori tasse sugli investimenti e sui redditi, dovremo attenderci anche più protezionismo, dunque più tariffe, dazi e spese doganali.

E questa è solo una piccola parte di un piano volto a finanziare il più grande programma sociale e industriale dai tempi del “decennio rosso” di Franklin Delano Roosevelt. Il “New Deal” bideniano costa la bellezza di 6 mila miliardi di dollari, tre volte tanto il Pil italiano, pari a circa un quarto di quello statunitense attuale. Un programma ideologico, prima che pragmatico, visto che l’obiettivo è quello di trasformare il volto del mercato americano per ridurre a zero le emissioni di gas serra.

Ma gli imprenditori che hanno votato e finanziato la campagna elettorale di Biden, adesso, si sono pentiti? Stanno facendo il mea culpa? Stanno ripromettendosi di votare per i Repubblicani per tutto il resto della loro esistenza? A giudicare dalle loro azioni si direbbe proprio di no. Anzi esprimono appoggio ed entusiasmo per il nuovo corso. In prima linea ci sono le aziende Big Tech, i giganti dell’economia dell’informazione. YouTube, Twitter e Facebook, come è noto, collaborano con i Democratici come fossero il loro braccio mediatico, censurando Donald Trump. Amazon ha sostenuto apertamente l’aumento delle tasse per i super-ricchi. La Apple, la Coca Cola e la MLB (Lega del Baseball) stanno facendo politica politicante, boicottando la Georgia perché i Repubblicani locali hanno proposto una riforma del sistema elettorale. Hanno deciso di aumentare i controlli sull’identità degli elettori che spediscono il voto in assenza e i Democratici li tacciano di “razzismo”, ormai accusa passe-partout. Normale che un partito politico faccia propaganda, meno normale che grandi aziende che operano su un dato territorio, boicottino quello stesso territorio, rischiando di perdere clienti e posti di lavoro.

Perché i capitalisti appoggiano un’agenda anti-capitalista? Marx stesso non sarebbe riuscito a spiegarlo. Ma un fondo di razionalità (poco) esiste dietro queste politiche apparentemente suicide. Come sottolinea il Wall Street Journal con un editoriale dal titolo provocatorio, Abbasso il grande capitale“, ogni imprenditore che appoggia la politica di Biden ha qualcosa da guadagnare nell’immediato. Amazon sa di essere privilegiato dai bonus fiscali sui programmi di ricerca e sviluppo. Le compagnie petrolifere sposano il programma ecologista a favore delle energie rinnovabili: le tasse sul carbonio incideranno maggiormente sui bilanci dei loro concorrenti più piccoli, quelli che si erano lanciati nella shale gas revolution. La concorrenza delle Big Tech è facilmente azzerata dalle censure sui “discorsi di odio”. La scelta anti-capitalista paga, insomma, almeno nell’immediato, oltre a permettere di dar di sé l’immagine altruistica che piace a una clientela woke (consapevole) e preserva dai boicottaggi politici.

Ma le conseguenze di medio e lungo periodo saranno devastanti per tutti gli imprenditori, piccoli e grandi. La sospensione del brevetto, se applicata, difficilmente migliorerà la diffusione dei vaccini in tempi utili (la decisione deve essere presa a livello di WTO e il negoziato potrebbe durare più della pandemia), ancor più difficilmente accelererà la produzione (che dipende dalla potenza industriale nei vari Paesi, non dalla possibilità legale di copiare), sicuramente migliorerà i rapporti fra Usa e India (perché è stato il premier Modi, in questo periodo di crisi, a chiederlo) e costerebbe relativamente poco alle Big Pharma, anche se Pfizer annuncia la sua opposizione.

Ma al di là della “bella figura” da altruista, il messaggio per il futuro è pessimo. Senza l’incentivo della proprietà intellettuale, chi avrà più l’interesse a raggiungere obiettivi ambiziosi e costosi, come la realizzazione di un vaccino per una malattia nuova in meno di un anno? Il crollo delle azioni delle farmaceutiche in Borsa, subito dopo le dichiarazioni di Biden, dà già una risposta pratica a questo nostro interrogativo. E lo stesso discorso vale anche per le altre riforme anticapitaliste di Biden: più tasse, divieti e spesa pubblica ridurranno la competizione nel breve periodo, ma nel lungo disincentiveranno anche i grandi oligopolisti che attualmente dominano il mercato.

I difensori del libero mercato dovrebbero farsi sentire proprio in periodi storici come questo, come prima voce dell’opposizione. Invece sono stranamente distratti. Negli Usa, il principale think tank libertario, il Cato Institute, che nell’era Trump contestava ogni sua singola decisione e ridimensionava criticamente le sue decisioni pro-mercato, con Biden è stranamente tollerante. Addirittura giustifica il suo discorso anti-brevetti. Un po’ lo stesso atteggiamento che in Italia hanno i liberali che sostengono Mario Draghi (e che sugli Usa non perdevano occasione per parlare male di Trump): una strana idea di capitalismo, quello che vive sui sensi di colpa dei capitalisti e sulla benedizione/protezione della parte politica vincente.

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