Le minacce di Xi Jinping e la presidente taiwanese che non molla: nelle calde acque dello Stretto di Taiwan Pechino mostra i suoi muscoli

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“Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere.” Sun Tzu

La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha dichiarato, martedì, che si candiderà per la rielezione come leader dell’isola nel 2020. Questo avviene nonostante la crescente ostilità di Pechino nei suoi confronti. La presidente afferma che intende “completare la sua visione per Taiwan”. “È naturale che ogni presidente in carica voglia fare di più per il Paese e vuole finire le cose sul suo programma”, ha dichiarato la prima donna a essere eletta leader nell’isola.

Il Partito Democratico Progressista (DPP) della presidente a due anni dalla sua elezione ha subito sostanziali perdite, quasi il 10 per cento dei consensi, durante le elezioni locali nel 2018, tanto che la Tsai si è dimessa da presidente del partito. Comunque, nonostante le critiche, la presidente Tsai ha detto di essere “fiduciosa” nella sua capacità vincente.

Le relazioni con Pechino sono tese nonostante Taiwan sia un sistema di autogoverno dalla fine della guerra civile cinese nel 1949. Pechino, infatti, continua a considerare Taiwan una provincia rinnegata e parte della Repubblica popolare cinese. Il predecessore della Tsai, Ma Ying-jeou, aveva raggiunto più stretti legami con Pechino e aveva anche incontrato il presidente cinese Xi Jinping in uno storico vertice del 2015 a Singapore. Le relazioni sono diventate gelide dopo l’elezione della Tsai, il cui partito ha storicamente sostenuto l’autodeterminazione. Taipei ciclicamente organizza esercitazioni militari di difesa del territorio con lo scopo di testare la sua capacità di fermare un possibile tentativo d’invasione da parte della Cina Popolare. Il governo di Pechino, sotto Xi, ha aumentato la pressione sulla Tsai e sulla sua amministrazione, sia economicamente sia politicamente. Dal 2016, anche le forze armate cinesi hanno condotto regolarmente esercitazioni su vasta scala in tutta l’area, inclusa la navigazione della portaerei Liaoning attraverso lo Stretto di Taiwan. Le forze armate di Taipei hanno risposto con le citate esercitazioni anti-invasione, tra cui una massiccia dimostrazione di forza sulla costa occidentale dell’isola il 17 gennaio scorso.

In un discorso di gennaio, il presidente Xi ha rinnovato l’appello affinché Taiwan si ricongiunga alla Cina continentale, dicendole di abbracciare la “riunificazione pacifica” e avvertito Taipei che l’indipendenza è un “vicolo cieco”.

In antitesi, nel suo discorso di Capodanno, la Tsai ha detto che Pechino dovrà “affrontare la realtà dell’esistenza della Repubblica di Cina”, il nome ufficiale di Taiwan. Nonostante i legami tesi, la Tsai ha detto che i rapporti tra le due sponde non sono stati un fattore chiave nella battuta d’arresto del suo partito alle elezioni dello scorso anno.

La presidente Tsai dovrà affrontare una difficile campagna elettorale per la rielezione e potrebbe essere costretta a respingere gli sfidanti sia del proprio partito sia del Kuomintang (KMT), il principale partito di opposizione che tradizionalmente favorisce relazioni più strette con la Cina continentale. Alcuni sondaggi indicano la Tsai in calo del 30 per cento contro il potenziale candidato presidenziale del Kuomintang, Eric Chu, che la stessa aveva sconfitto nel 2016.

Tornando alla situazione politico/strategica nell’area è fondamentale ricordare che il 2 gennaio 2019, il presidente della Cina Xi Jinping ha pronunciato un discorso per commemorare il 40° anniversario del cosiddetto “Messaggio ai Compatrioti in Taiwan”, che Pechino vorrebbe sottomettere senza combattere. Il discorso ha cercato di lanciare i messaggi che seguono:
1) Cancellare la Repubblica di Cina. Appare logico che questo sia in contrasto con la volontà del popolo taiwanese, infatti, Pechino vuole imporre il modello di “un paese, due sistemi” a Taiwan e accelerare gli sforzi verso l’unificazione.
2) Negare lo status giuridico del Governo taiwanese. Pechino intende aggirare il governo di Taiwan e tenere colloqui diretti con i partiti politici.
3) Minacciare Taiwan con la forza. Non rinunciando all’uso della forza e mantenendo tutte le opzioni sul tavolo nella sua ricerca di unificazione con Taiwan, Pechino mette o metterà a repentaglio la stabilità regionale.
4) Fare azione di deterrenza verso le forze/Paesi terzi che potrebbero intervenire nella disputa. La dichiarazione secondo cui Taiwan fa parte della Cina Popolare, tende allo scopo di configurare la questione di Taiwan come una questione interna di Pechino e attivare il principio Onu del non intervento degli affari interni.

Molti analisti concordano che è intenzione di Pechino mettere sotto i riflettori la questione di Taiwan per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Al momento la Cina Popolare è di fronte a un rallentamento della crescita economica, ha relazioni a dir poco tese con il presidente Trump e gli Stati Uniti.

A Hong Kong, nel frattempo, il modello “un paese, due sistemi” ha fallito. Democrazia e Libertà sono “in ritirata” e le proteste stanno crescendo. Le “decise” azioni di governo di Pechino in Tibet e nello Xinjiang hanno anche minato, reso vana la promessa che queste regioni si sarebbero autogovernate in futuro. E’ quindi ipotizzabile che Pechino sia motivata a esercitare maggiore pressione su Taiwan per distogliere l’attenzione dalle problematiche interne.

Altra azione intrapresa da Pechino è stata quella di fare leva sulla sua forte potenzialità globale per minare la democrazia a Taipei e alla fine annettere l’isola. Infatti, negli ultimi anni, la Cina ha esercitato il proprio sharp power ed è penetrata in modo completo all’interno dei media, dei governi, delle economie e delle società di molti Paesi, incluso Taiwan. Di fatto, la Cina considera Taiwan un laboratorio di prova per le sue creative tattiche di sharp power, cercando di seminare divisioni al suo interno, corroderne il sistema democratico e minando la fiducia del pubblico nel governo. E’ nota l’azione di stati come Russia, Cina e Iran volta promuovere una silenziosa ma efficace opera di propaganda all’estero per aumentare la propria influenza. Secondo il rapporto, i regimi illiberali tenterebbero a interferire nella vita dei Paesi democratici sfruttando a proprio favore i nuovi strumenti offerti dalla globalizzazione: manipolazione di notizie, pressioni sugli attori politici ed economici, attacchi cyber.

Tornando alla presidente Tsai Ing-wen, la stessa sin dal suo insediamento è stata fermamente impegnata a sostenere lo status quo nello Stretto di Taiwan. Sotto la sua guida, il governo di Taipei non ha mai intrapreso azioni palesemente provocatorie nei confronti della Cina Popolare. Al contrario, ha espresso la volontà di impegnarsi in un dialogo con Pechino su un piano di parità, purché non siano stabilite condizioni preliminari. Pechino pare abbia ignorato tale dimostrazione di buona volontà, e ha al contrario esercitato un’enorme pressione su Taipei. Come già indicato, durante il mandato di Xi Jinping, la Cina Popolare ha esteso il proprio potere marittimo al Mar Cinese Meridionale, al Mar Cinese Orientale e anche oltre le catene insulari nel Pacifico occidentale. Negli ultimi due anni, la Cina ha in sostanza fatto diventare una normalità le missioni di aerei e navi militari nelle aree prossime a Taiwan, e ha cercato di accreditare lo Stretto di Taiwan come area marina all’interno delle proprie acque territoriali. Minacciando di usare la forza nella sua ricerca di unificazione con Taiwan, Pechino sta cercando di cambiare lo status quo nell’Indo-Pacifico.

Non va mai dimenticato che sono passati trent’anni dalla transizione di Taiwan dal regime autoritario alla democrazia diretta. I 23 milioni di abitanti di Taiwan amano e difendono con convinzione la loro libertà e la loro democrazia, duramente guadagnate. Lo stile di vita democratico dell’isola funge da modello verso cui i cinesi sparsi nel mondo tendono a ispirarsi. Ciò infastidisce il governo di Pechino e il tentativo di negare l’esistenza della Repubblica di Cina attraverso il “Principio dell’Unica Cina” e il modello “un paese, due sistemi” dimostra i timori in essere.

Gli storici attenti sanno che la politica di appeasement adottata prima della Seconda Guerra Mondiale non riuscì a frenare le ambizioni degli aggressori e portò allo scoppio del conflitto. Questo precedente storico è importante. Infatti, se Taipei dovesse soccombere al crescente potere della Cina, molte altre nazioni potrebbero potenzialmente subire la stessa sorte.

Appare quindi opportuno che in ambito internazionale si tuteli collettivamente il sistema di governo democratico di Taiwan. L’esistenza e lo sviluppo di una Taiwan democratica sono elemento di stabilità nell’Asia-Pacifico e sono fondamentali per la costante crescita delle democrazie in tutto il mondo. E’ un fatto indiscutibile che Taiwan esista come nazione indipendente nella comunità internazionale. Taipei non è mai stata governata dalla Repubblica Popolare Cinese, né ne è mai stata parte, ma la costante pressione e l’intimidazione della Cina rappresentano una tremenda sfida per la sopravvivenza dell’indipendenza dell’isola e costituiscono una grave minaccia per la comunità internazionale. Tutte le citate questioni d’interesse globale richiedono il coinvolgimento attivo di tutte le nazioni democratiche e liberali al fine di respingere il modello “un paese, due sistemi” riproposto da Pechino. La stragrande maggioranza dei taiwanesi ama le “Main Land” ma non ne vuole far parte, semplicemente non vuol essere sottomessa. “Così è (se vi pare)”!

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