Trump firma: meno truppe Usa in Germania. E le nuove sanzioni contro Nord Stream 2 fanno tremare Berlino

4.6k 0
generica_porro_1200_5

È ufficiale: il tetto massimo dei soldati Usa stanziati in Germania passa da 52 mila a 25 mila. Ieri il presidente Trump ha approvato il piano del Pentagono per l’annunciato ritiro entro settembre di 9.500 militari, essendo ad oggi 34.500 quelli presenti nel Paese. La proposta approvata, ha assicurato un portavoce del Pentagono, non solo esegue l’ordine del presidente, ma “aumenta la deterrenza nei confronti della Russia, rafforza la Nato, rassicura gli alleati, migliora la flessibilità strategica Usa”.

Il portavoce non ha aggiunto dettagli sul ridispiegamento delle truppe in uscita dalla Germania. Ma la settimana scorsa, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca con il presidente polacco Duda, Trump aveva spiegato che una parte sarebbe stata ridislocata altrove: “Alcuni torneranno a casa e altri andranno in altri posti. Ma la Polonia sarebbe uno di questi altri posti – altri posti in Europa”. “Un segnale molto forte alla Russia”, secondo il presidente Usa, “ma un segnale ancora più forte alla Russia è il fatto che la Germania stia pagando miliardi di dollari alla Russia per acquistare la sua energia, tramite la pipeline (Nord Stream, ndr)… Come funziona? Tu spendi miliardi di dollari a favore della Russia, e noi dovremmo difenderti dalla Russia? Non funziona troppo bene…”.

Abbiamo ricordato più volte come questo sia un punto centrale delle rimostranze di Trump verso Berlino, fin dal vertice Nato del 2018. E anche ad un recente comizio pubblico, a Tulsa, di fronte ai suoi sostenitori il presidente aveva tuonato contro il Nord Stream 2 e le ambiguità di Berlino con Mosca:

“We are supposed to protect Germany from Russia. But Germany is paying Russia billions of dollars for energy coming from a brand-new pipeline, so they pay the country we are supposed to protect them from billions of dollars. How does that work?”

Nel frattempo, si sta muovendo anche il Congresso americano, ma in due direzioni. Da una parte, come riporta il Wall Street Journal, alcuni membri del Congresso, tra cui esponenti Repubblicani di spicco, stanno preparando una iniziativa legislativa per bloccare il ritiro parziale dalla Germania voluto dalla Casa Bianca. L’amministrazione dovrà convincerli che la misura non indebolisce la Nato e gli alleati di fronte alla postura aggressiva della Russia in Europa orientale. Venerdì scorso, il segretario alla Difesa Esper era arrivato di persona a Bruxelles proprio per rassicurare il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e gli alleati: “L’impegno degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza europea rimane forte, incrollabile”, ha ribadito Esper tornando però a “sollecitare tutti gli alleati a raggiungere il target del 2 per cento del Pil” nella spesa militare.

Dall’altra, un gruppo bipartisan di senatori, guidato dal Repubblicano Ted Cruz, sta mettendo a punto un nuovo e ancora più stringente pacchetto di sanzioni (Protecting Europe’s Energy Security Clarification Act) per colpire le compagnie coinvolte anche solo indirettamente nel completamento del gasdotto fortemente voluto da Angela Merkel e Vladimir Putin. Non solo inasprirebbe le sanzioni esistenti. Il raggio delle nuove sanzioni sarebbe talmente ampio (anche le compagnie di assicurazione rischiano di finire sotto la scure del Tesoro Usa) da poter rovinare i piani di Mosca e Berlino per ultimare il secondo gasdotto. Una iniziativa che ovviamente incontra il favore della Casa Bianca.

A Berlino, da una serie di audizioni sul tema che si sono svolte ieri al Bundestag, è risuonato l’allarme: le nuove sanzioni Usa minacciano la sopravvivenza stessa del progetto, a soli 160 km di tracciato dal completamento, e sono “una grave interferenza nella sovranità tedesca ed europea“. Perché mai “europea”? Berlino non ha certo consultato i partner europei prima di mettersi in affari con Mosca per i due gasdotti Nord Stream e, anzi, è passata sopra le forti perplessità di alcuni stati membri (Polonia e Paesi Baltici) e della Commissione europea circa la dipendenza energetica dalla Russia che il progetto avrebbe accresciuto.

“Le sanzioni extraterritoriali non rispecchiano la mia concezione del diritto”, ha dichiarato la cancelliera Merkel, determinatissima a portare a compimento l’opera. Berlino sta spingendo per una risposta a livello Ue e l’Alto rappresentante Josep Borrell fa sapere che la Commissione europea “sta preparando il terreno” per contro-sanzioni.

Sarebbe l’ennesimo atto di protervia tedesca sull’intero continente: perché l’Ue dovrebbe aprire una disputa a colpi di sanzioni con gli Usa, che danneggerebbe tutti gli stati membri, per difendere una scelta (molto discutibile) di politica energetica di Berlino? Perché gli altri Paesi dovrebbero subire le ripercussioni delle tensioni con Washington?

Se verrà completato, Nord Stream 2 sarà un monumento all’ipocrisia di Berlino. I tedeschi percepiscono la propria politica europea come un modello di europeismo responsabile e disinteressato, a fronte degli egoismi e dei vizi nazionali altrui, mentre sono sempre pronti a incolpare Washington per le tensioni nei rapporti transatlantici. Eppure, questo progetto, così divisivo nelle relazioni tra partner europei, e nelle relazioni con gli Usa, mostra quanto nazionalista sia in realtà la politica tedesca.

Al recente forum del Marshall Fund il segretario di Stato Mike Pompeo ha provato a spiegare che “avere una quota significativa della propria energia legata alla Russia in modo così profondo e fondamentale offre a Putin la capacità di infliggere costi reali alla Germania, se decide o se minaccia di farlo”. “Noi – ha aggiunto Pompeo – consideriamo la Russia una seria minaccia. Spendere l’1 per cento del Pil nella difesa, come fa la Germania, significa che per loro non è una minaccia così seria”.

Quindi, il segretario di Stato ha spiegato che la riduzione della presenza militare Usa in Germania è “l’esito di una serie collettiva di decisioni su come posizioneremo le nostre risorse in tutto il mondo”, che “la capacità di dissuadere la Russia e altri avversari non dipende più solo da un gruppo di ragazzi di guarnigione da qualche parte”. Insomma, “in certi posti ci saranno minori risorse americane, in altri maggiori, a seconda di quella che pensiamo essere la sfida del nostro tempo”. E non è un mistero: la sfida è la Cina.

Nella misura in cui, ha concluso Pompeo, queste variazioni “impattano negativamente su una minaccia da qualche parte, potrebbe essere che altre nazioni debbano intensificare e assumersi la responsabilità della propria difesa in modi che non avevano mai fatto in precedenza. Ma vogliamo farlo in piena consultazione con tutti i nostri partner in tutto il mondo, e sicuramente con i nostri amici in Europa”.

Dunque, le cose stanno diversamente da quanto suggerito dalla cancelliera Merkel nella recente lunga intervista a diversi media europei.

Ad una domanda su “autonomia strategica” dell’Europa ed “effettiva sovranità europea in tema di difesa”, la Merkel aveva riconosciuto che “vi sono ragioni preponderanti per continuare a puntare sulla comunità transatlantica di difesa e sullo scudo nucleare comune” e che, “ovviamente, l’Europa deve dare un contributo maggiore rispetto al periodo della Guerra Fredda”, ma aveva aggiunto: “Siamo cresciuti con la consapevolezza che gli Usa vogliano essere una potenza mondiale. Se ora gli Usa dovessero abbandonare questo ruolo di propria spontanea volontà, dovremmo avviare una profonda riflessione”.

Ma come dimostrano le parole del presidente Trump e del segretario Pompeo, e le loro politiche, gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di abbandonare il ruolo di potenza mondiale. Anzi, rilanciano raccogliendo la sfida cinese per la leadership globale. Ma fa comodo alla Merkel insinuarlo per coprire il vero motivo del dissenso con gli Usa: l’equidistanza che l’Europa a guida tedesca sta perseguendo tra Washington da una parte e Pechino e Mosca dall’altra. Una ricerca di equidistanza in cui gli americani (e non solo) vedono lo spettro di un’Europa appendice dell’Eurasia dominata dalla Cina.

Riguardo la minaccia russa, nella stessa intervista la cancelliera riconosce i pericoli della disinformazione e della guerra ibrida, ma aggiunge che “ci sono buoni motivi per continuare ad avviare un dialogo costruttivo con la Russia. In Siria e in Libia, nei paesi vicini diretti dell’Europa, l’influenza strategica della Russia è forte. Per questo continuo ad adoperarmi per una cooperazione”. Ora, secondo voi, a Putin sta più a cuore Nord Stream o un posto al G7 e la cancellazione delle sanzioni imposte per l’annessione della Crimea?

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version