Bisognava vaccinare prima chi ci governa

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Con tutto il rispetto, ma avremmo preferito vedere vaccinati per primi i responsabili delle Istituzioni del Paese. Hanno fatto bene il generale Figliuolo e il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, a mostrarsi alla Cecchignola, al momento dell’inoculazione del vaccino. Nel loro caso si è provato anche a rimuovere almeno un po’ della patina di diffidenza calata sull’opinione pubblica tramortita quotidianamente dai bollettini di guerra della pandemia e stordita dall’incredibile stop and go sull’uso del farmaco di AstraZeneca.

Vaccino, politici come testimonial

Ma al netto della necessità di ripristinare – o almeno provarci – le condizioni minime di fiducia nella campagna vaccinale (fin qui condotta con discreto insuccesso, non solo in Italia, ma in molti i Paesi Ue) resta la necessità di avere testimonial e di preservare la funzionalità delle Istituzioni.

Sono due obiettivi distinti. Per i testimonial, si dirà, sono meglio sportivi e artisti, “divi” quotidiani dell’immaginario personale e collettivo. Vero. Ma è altrettanto vero che i responsabili delle Istituzioni non possono sottrarsi – e raramente lo fanno – alla logica della personalizzazione che guida la nostra contemporaneità. Non possono e non debbono gareggiare in popolarità con i campioni del pallone o con i conduttori televisivi più in voga, ma non devono esimersi dall’essere parte di quel sistema di comunicazione che trasforma tutto in palcoscenico e tutti in attori.

Ma c’è una considerazione specifica che riguarda invece le donne e gli uomini delle Istituzioni. Di loro non possiamo farne a meno. Almeno fintanto che sono alla guida delle “nostre” Istituzioni. Le regole della democrazia rappresentativa ci ricordano che non si arriva ai vertici istituzionali senza aver raccolto il consenso, diretto o indiretto. Chi è lì, lo è per nostro conto, per nostra scelta. Ci piaccia o meno, ma tutti coloro che vivono nelle democrazie occidentali hanno i governanti che si scelgono. E si meritano. Anche per questo, con tutto il rispetto, io non avrei voluto vedere il Capo dello Stato in fila allo Spallanzani per ricevere il vaccino anti-Covid. Confesso che ho preferito vedere Vincenzo De Luca, governatore della Campania, saltare la fila e farsi fotografare il 27 dicembre come primo vaccinato della sua Regione.

Retorica anti-casta

I cittadini hanno diritto di vedere in buona salute chi li governa. E chi governa ha il dovere di fare tutto il possibile per essere nel pieno delle proprie condizioni per farlo. Non ci dimentichiamo che la malattia di Boris Johnson, poco meno di un anno fa, aveva fatto cadere il Regno Unito in qualche imbarazzo istituzionale. Alla nostra latitudine forse i contrappesi sono più complessi e rassicuranti, ma non vorrei avere un premier a mezzo servizio per colpa di una malattia ormai evitabile (con il vaccino).

Con tutte le migliori intenzioni, chi sceglie di “mettersi in fila” paga pegno a una retorica anti-istituzionale che non mi appartiene e che credo faccia male al Paese. Uno uguale uno? Anche no. E soprattutto chi lo dice troppo spesso, quasi sempre finge. Mi permetto di dubitare che chi mostrò di raggiungere Montecitorio in autobus, continui a usare i mezzi pubblici. Anzi, mi auguro che non abbia assunto i privilegi della casta, ma si sia dotato dei necessari servizi che il proprio servizio richiede. Chi ci governa, quando ci governa, non deve fare la fila all’ufficio postale. Non perché è più importante di noi, ma semplicemente perché sta facendo cose più importanti per noi.

Insomma, mi auguro che Mario Draghi, classe 1947, non aspetti il suo turno. Anche perché a lui chiediamo che faccia tutto il possibile perché, come suo figlio che abita in Gran Bretagna, anche i figli dei suoi coscritti che abitano in Italia possano presto vedersi vaccinati. Per fare tutto ciò il premier deve essere in buona salute. E magari saltare la fila.

Antonio Mastrapasqua, 25 marzo 2021

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