Cultura, tv e spettacoli

Bla bla Blasco, adesso Vasco vuol campare di testi anti-Meloni

Il Komandante torna sul palco di San Siro ma sembra ormai essere sempre più ossessionato dalla premier

meloni vasco rossi © Teddy Young e sal61 tramite Canva.com

Vasco Rossi, detto Blasco, o anche il “Komandante”, con la K di Diabolik, non è mai stato, sgomberiamo una buona volta il campo da equivoci musicali, uno del rock, meno ancora quello duro o punk. Ha rincorso, molto, seempre, ma nessuna parentela, se mai è stato fin dalla tenera età un poppettino poi diventato popstar per abili ingegni pubblicitari, da influencer precoce, “sono un supervisssuto”, pensa un po’ che trovate dannunziane, ci ha campato una vita e in vecchiaia ha trovato modo di spaccare i timpani correndo dietro ai Maneskin ma in versione più roboante, insomma ha alzato il rumore come può capitare in senilità.

Una specie di Bruce Springsteen, detto “Boss”, che dove trova un Democrat da omaggiare non si tira mai indietro. Da alcuni decenni Bla Bla Blasco campa di rendita sul vecchio medagliere e forse è per questo che, per vendere i suoi concerti milanesi a San Siro, ha deliziato il primus inter islamici Sala che lo insigniva delle chiavi cittadine farfugliando a proposito della Meloni di cui scorge, sostiene il nostro politologo, lo spirito guerrier diciannovista, i fondamenti costituzionali, democratici a rischio, nientemeno. “Con la Meloni si va verso l’autoritarismo, siamo agli anni Venti, libertà derise e sono molto preoccupato”. Più spericolata l’analisi politica che l’elan vital.
Sono le cose che piace di sentire ai sindaci che si ritrovano la bandiera dei Fratelli Musulmani, di Hamas, addosso al Duomo e fingono di consternarsene. O ai Torquemada a cappella come Travaglio per il quale tutti sono criminali tranne gli amici suoi, e il cui giornale Fatto, ma nessuna allusione sia chiaro, dedica una paginata oggi per strillare che Komandante difende la libertà con una canzoncina del vecchio medagliere “Asilo Republic”, espressamente dedicata alla nostra Giorgia.

È una sciocchezza del Vasco giovane che scopiazzava concettualmente i Ramones di “I wanna be sedated”, in modo al solito lasagnesco “il Kom” restandosene prudenzialmente lontano dal vitalismo suicida non solo dei Ramones ma pure dei Damned, dei Flipper, degli UK Subs e compagnia cantante, “Io l’eroina non l’ho mai provata, siete matti?”. Maledetto sì ma con juicio, “supervissuto” ma appena appena. Comunque vi si racconta di bambini dell’asilo irrequieti e della maestra che, dopo averli placati “con uno spino”, li brucia tutti, così risolve i problemi. La maestrina nazi. Che, se la dedica significa qualcosa, anche solo per allegoria o analogia, risulterebbe essere la citata, la perfida Meloni. Mica la compagna Ilaria Salis, di professione antifascista a caccia di neonazi da abbattere. Laddove a somministrare il calmante a questo punto sarebbe il cognato Lollo.

“I bambini dell’asilo stanno facendo casino, ci vuole un dolcino ci vuole uno spino, ci vuole un agente, non si capisce niente, più di prima sarà ordine e disciplina e chi vuol restare qui vada in collina, e se qualcuno la vuole menare con la vecchia storia dell’educazione abbiamo già bruciato tutti i libri bruciamo lui; i bambini dell’asilo non fanno più casino sono rimasti molto pochi dopo i fuochi”. Non questo gran che, ma concettualmente il punk angloamericano anni Settanta non ha mai avuto pretese analitiche, se mai il contrario, figurarsi i succedanei d’importazione in Italia dove le cose arrivavano sempre un po’ già avvizzite, da luce ostinata di stella morta: se ne trovano a migliaia di storielle in fac simile. A riproporla oggi, da uno di 72 anni, si viene colti da una vertigine di tristezza sia anagrafica che storicistica.

Perché nel frattempo le cose si sono ribaltate, oggi se mai sono i bambini dell’asilo, fino agli universitari pro Hamas, che bruciano gli insegnanti, a mezzo clan famigliari ma pure da soli, gli sparano addosso, li bastonano, li accoltellano, cercano di tirarli sotto con la motoretta o il monopattino green. Blasco non lo sa? No, lui vive del suo, nella sua bolla confortevole, preferibilmente a Los Angeles, che ne sa del presente italiano. Ma la vita della popstar, e anche delle mature giornaliste, è una perenne riverginazione, “io sono sempre stato di sinistra” e siccome nessuno se n’era accorto, casomai narcisista esistenziale, ma con calma, con giusta malizia, tocca ogni tanto spararla grossa.

La Meloni sarebbe, se capiamo bene la maestra allegorica che brucia i virgulti dell’opposizione democratica? Sul serio? Non era preoccupato però Bla Bla Blasco quando, sotto l’occhio glacialmente benevolo del Capo della Repubblica, “non si invochi la libertà per non vaccinarsi”, i predecessori Conte e Draghi imprigionavano tutti, ricattavano, mentivano, imponevano la vaccinazione di massa che non immunizzava ma minava come successivamente ammesso da chi la fabbricava e insomma importavano le prescrizioni totalitarie del liberalismo autoritario americano come del capitalismo comunista cinese che Fauci, Stranamore di Biden, si era “inventato sapendo che non avevano senso ma qualcosa dovevo fare, dovevo alzare il polverone perché se la gente la terrorizzi la smette con le stronzate e ubbidiscono tutti come cani”.

Allora il Blasco non era preoccupato, non sentiva soffiare il vento diciannovista, si produceva, fingendo di barcollare sul palco, lui è uno che ci tira su le cattedrali sul falso mito della rockstar confusa, dal barcollare recitato al barcollare anchilosato, farfugliando “mi sono vaccinato, tre dosi ne ho fatto!” e il pubblico coglione gli mandava l’ovazione. Lui come tutti gli altri preoccupati dall’autoritarismo di una al contempo accusata dalle opposizioni di non saper tenere la barra, una che non riesce o non vuole imporre ombra di  pressione con cui arginare qualsivoglia disordine o provocazione teppistoide a prato basso. Il Bla Bla Kom come i coetanei insurrezionalisti sempre più simili a dei personaggi di Stephen King, dal Venditti delle liceali memorie al Pelù diventato sordo dopo non si sa quante dosi di vaccino ma lui scarica la colpa su un fonico che gli ha fatto esplodere le cuffie nelle orecchie. E l’informazione complice finge di prendere per buone tutte queste stronzate, per dirla come Fauci.

E allora prendiamo per buona anche la favola di Vasco Rossi come Giacomo Matteotti un secolo dopo, come Ilaria Salis restauratrice di democrazia, come i pro Hamas che vogliono la pace, come quella dell’asilo repubblica italiana dopo che i bambini sono stati tutti bruciati. O sierati, come nella Banana Republic della Puglia di Emiliano e Lopalco.

Max Del Papa, 8 giugno 2024

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