Esteri

Caos Balcani, cosa sta succedendo (veramente) in Kosovo

Nuovi scontri tra Kosovo e Serbia. Ecco da dove traggono origine le tensioni di queste ultime ore

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Sono 41 i militari Nato feriti durante gli scontri tra la forza militare internazionale guidata dall’alleanza (Kfor) ed i manifestanti serbi a Zvecan, nel nord del Kosovo. Si tratta dell’eterno ritorno di ferite che non si sono mai chiuse; l’eterno ritorno della Storia, interrotta nel 1999 e poi ripresa a sprazzi, solo nei momenti in cui la tensione tra serbi e kosovari iniziava a surriscaldarsi, per poi scemare e tornare nel dimenticatoio dei media mainstream.

Un analogo procedimento a quello adottato in Ucraina, dove tra il 2014 ed il 2022 abbiamo avuto un’eterna sospensione della narrazione dei fatti, da parte dei giornali occidentali, che ora rischia di riproporsi anche dall’altra parte del continente, con le continue minacce della Cina comunista nei confronti della democratica Taiwan.

Tensioni Kosovo-Serbia

Ma torniamo al caos che si sta verificando in queste ore in Kosovo. Nella zona meridionale del Paese, le prime tensioni sono iniziate a manifestarsi lo scorso venerdì, quando le truppe kosovare entrarono nei comuni a nord dello Stato per garantire l’ingresso dei nuovi sindaci eletti nelle ultime elezioni locali. Il dato rilevante è duplice: i primi cittadini eletti sono di etnia albanese e le elezioni (con affluenza al 3,47 per cento) sono state boicottate dal 97 per cento della popolazione avente diritto, in segno di protesta per la mancata creazione delle Comunità delle Municipalità serbe, considerata da Belgrado una vera e propria entità di governo.

Srpska Lista, il maggior partito serbo in Kosovo, ha poi divulgato le sue due richieste per cessare le ostilità. Uno: divieto di ingresso dei sindaci di etnia albanese nei rispettivi municipi. Due: ritiro incondizionato della polizia kosovara dalle regioni settentrionali del Paese. Condizioni, ovviamente, non accettabili e che, nel corso delle ore, hanno surriscaldato le parti e portato alla formazione di almeno tre schieramenti: la polizia kosovara, i manifestanti serbi ed infine i soldati Nato della Kfor, a giuda italiana.

Lo scenario

Poche ore fa, il ministro degli Esteri della Russia – ricordiamolo: tra i principali alleati della Serbia – ha annunciato l’arrivo di “una grande esplosione che si sta profilando nel cuore dell’Europa”. Dall’altra parte, il primo ministro serbo, Ana Brnabić, ha affermato che la situazione “non è mai stata così tesa e difficile”. Per il presidente kosovaro Osmani “la situazione è allarmante”. In serata, le proteste serbe si sono estese fino ad arrivare al tentativo di irrompere in alcuni municipi guidati da sindaci di etnia albanese. Da lì, i soldati atlantici hanno risposto con gas lacrimogeni e granate stordenti a fianco degli ufficiali kosovari, nel tentativo di disperdere i manifestanti. I 300 serbi hanno continuato lanciando pietre e altri oggetti duri, bruciando bruciato anche un veicolo privato.

Già tre giorni fa, Belgrado aveva disposto lo stato di massima allerta nel Paese e ordinato alle unità dell’esercito di avvicinarsi al confine con il Kosovo, il che ha già fatto pensare ad una azione pianificata con i ribelli delle regioni settentrionali di Pristina, le uniche a maggioranza serba a fronte del restante 90 per cento dello Stato a maggioranza albanese. Anche su questo terreno, c’è l’occhio vigile di Putin proprio a causa del riproposto schieramento che vede, da una parte, le forze kosovare sostenute da Nato e Occidente, mentre dall’altra le autorità serbe supportate dalla Federazione. Lo stesso scenario di quanto abbiamo visto in Ucraina (in particolare nel Donbass) in quest’ultimo anno. Nel frattempo, il presidente serbo Vucic ha trascorso la notte al confine con i militari del suo esercito. La crisi sembra tutt’altro che sopita.

Matteo Milanesi, 29 maggio 2023

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