Caos scuola e Caporetto elettorale: cosa c’è dietro la guerra alle discoteche

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Con un’ordinanza scriteriata e passibile d’interpretazioni arbitrarie, il governo ha imposto la serrata delle discoteche e l’uso della mascherina negli orari della movida. Una mossa ridicola, che arriva  dopo un’intera stagione – vivaddio – di balli scatenati, di cui a Roma si sono accorti, guarda caso, solo passato il Ferragosto. L’impressione è che l’esecutivo fosse in cerca dell’ennesima arma di distrazione di massa, ora che rischia di andare a schiantarsi su un autunno di clamorosi fallimenti. Insomma, dietro la misura draconiana assunta ieri e per la quale il giornale unico del virus ha preparato accuratamente il terreno, si celano motivi politicamente più subdoli della salute pubblica o del desiderio di «difendere i giovani», come ha dichiarato Roberto Speranza. Ed è proprio il ministro che, evocando il tema della riapertura delle scuole, ci suggerisce il primo.

Il problema è che, in vista del 14 settembre, data in cui i ragazzi dovrebbero rientrare negli istituti di ogni ordine e grado, il governo teme un flop memorabile. E allora deve cercare un colpevole – i giovani indisciplinati – cui imputarlo. I banchi a rotelle, cavallo di battaglia di Lucia Azzolina, non arriveranno in tempo per l’inizio delle lezioni. Le «aule nuove», promesse dal premier il 3 giugno scorso, rimangono una chimera. Così, il Comitato tecnico-scientifico, che si è capito essere uno specchietto per le allodole del BisConte, è andato in soccorso dei giallorossi, spiegando che, se proprio non si riesce a mantenere il famoso metro di distanza tra le «rime buccali» dei ragazzi, basta far indossare loro la mascherina. Per tutta la giornata scolastica. Cambiandola ogni 4 ore. Non c’è che dire, una soluzione agevole: immaginate che piacere stare stipati nelle solite classi pollaio, respirando per ore da dietro una chirurgica, con gli insegnanti ridotti a poliziotti sanitari, che controllano il corretto utilizzo dei Dpi. Dove gli alunni sono più piccoli e più difficilmente gestibili, si rischia il caos totale.

L’alternativa è la prosecuzione della didattica a distanza, che è sinonimo di nessuna didattica. Ma in quel caso, ai genitori che dovranno tornare a lavoro e si ritroveranno con i figli in casa tutto il giorno, di certo non si riuscirà a vendere la balla della «ripartenza». Il più evocativo simbolo del ritorno alla normalità, che è il rientro in aula, si potrebbe trasformare in una debacle storica per il governo dei peracottari. Perciò, l’esecutivo e la sua grancassa mediatica hanno individuato nel popolo della notte un utilissimo capro espiatorio. Come, in primavera, i morti erano colpa dei runner o di chi allestiva l’arrostata di Pasquetta, adesso, se Giuseppe Conte e l’Azzolina pasticciano con la scuola, la colpa è dei giovinastri festaioli e negazionisti.

La linea l’ha dettata, nel nome dell’indipendenza degli scienziati, Franco Locatelli, numero uno del Consiglio superiore di sanità. Il quale, per prevenire l’obiezione di chi nota che mentre qualcuno prova a rinchiudere di nuovo gli italiani, gli immigrati infetti continuano a sbarcare e fuggire dai centri d’accoglienza, specifica: il 40% dei nuovi casi dipende da italiani rientrati dalle vacanze, mentre agli immigrati si può imputare solo il 3% dei contagi. Giusto, dottor Locatelli: lasciamo liberi di scorrazzare per il Paese i nostri fratelli clandestini, punendo invece i connazionali che, dopo mesi di domiciliari, hanno ballato nei locali che il governo stesso ha riaperto, o che sono andati in villeggiatura all’estero, approfittando della possibilità di varcare frontiere che sempre il governo ha riaperto.

A questo scenario, va aggiunta la prospettiva che i giallorossi perdano 4-2 le elezioni regionali. Così, otteniamo il ritratto di un governo che rischia la bancarotta. Ci vuole tanta, troppa malizia per immaginare che la farsetta sulle discoteche serva a rinviare la data del voto. Ma di sicuro può essere usata per congelare la campagna elettorale, o per stemperare l’eco di una sconfitta netta alle urne. Bisogna ricreare le condizioni di un’emergenza che per ora, fortunatamente, non esiste, affinché, all’uopo, magari a macchia di leopardo, nelle zone economicamente meno centrali, si possa ricorrere a nuovi lockdown. È l’emergenza preventiva – che, come ripetono illustri giuristi, nel nostro ordinamento non sarebbe contemplata – come premessa dell’emergenza permanente.

Fermo restando che nessuno nega la pericolosità del Covid-19 né la necessità di essere prudenti, l’unica reazione a tale scempio della democrazia liberale sarebbe la disobbedienza civile. Ma a questo punto, va girata ai lettori e a noi tutti italiani una domanda: siamo pronti ad assumerci la responsabilità della resistenza al regimetto sanitario?

Alessandro Rico, 17 agosto 2020

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