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Cara destra, ora basta coi divieti e le sanzioni

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Ah rieccoci. Il centrodestra ci ricasca e rispolvera ancora una volta la cara vecchia politica dei divieti e delle sanzioni. Dopo quello relativo all’estensione del divieto sul fumo anche all’aperto, la maggioranza di governo smarrisce di nuovo la bussola delle libertà ed inciampa clamorosamente in un altro surreale provvedimento. Questa volta, però, il pericolo per la sicurezza nazionale non è più banalmente rappresentato da e-cig o sigarette varie, bensì da una manciata di parole straniere. Si, esattamente. Il numero di anglicismi nel nostro dizionario pare essere diventato d’improvviso troppo elevato, e così, via alle multe per chi, nella pubblica amministrazione, fa ricorso a termini non riconducibili alla lingua italiana.

La strampalata ed anacronistica proposta di legge porta la firma di Fabio Rampelli, deputato FdI e vice presidente della Camera dei deputati, il quale ritiene “non più ammissibile che si utilizzino termini stranieri la cui corrispondenza italiana esiste ed è pienamente esaustiva”. Pertanto, “in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”, avanti tutta con la clava delle sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di somme di denaro che oscillano dai 5.000 ai 100.000 euro. Come se bastasse una legge, o ancor peggio una multa, a regolare ad uso e consumo del governante di turno un atto meramente spontaneo qual è l’uso della lingua. Cosa praticamente impossibile. Per chiunque.

Ragion per cui, il provvedimento in questione è già stato sonoramente bocciato anche dall’Accademia della Crusca, che attraverso le inequivocabili dichiarazioni del presidente Claudio Marazzini non ha esitato a bollare come “ridicola” la proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, “come se si fosse passati col semaforo rosso”. Ridicola si, ma anche realisticamente inapplicabile e profondamente illiberale. Si, perché il compito di stabilire le parole che si possono o non si possono utilizzare non è, e non deve essere, appannaggio del governo. È una libera scelta del cittadino in quanto tale, e, piaccia o meno, va sempre e comunque rispettata. A meno che non si ledano i diritti e le libertà altrui, ovviamente. Ma non è certo questo il caso.

La politica, dal canto suo, dovrebbe (quanto meno provare) ad occuparsi d’altro, anziché cimentarsi nel pressoché inutile tentativo di imporre, tramite divieti e sanzioni varie, il linguaggio da utilizzare. Inutile ed anche potenzialmente assai dannoso. Poiché censurare o cercare di regolare dall’alto ogni aspetto dell’esistenza del cittadino è un esercizio parecchio pericoloso e fortemente in contrasto con il concetto stesso di libertà. Oltre che un graditissimo invito a nozze per chi è lì, sempre pronto a delegittimare l’operato dell’esecutivo e rievocare, all’occorrenza, lo spauracchio del fascismo.

Salvatore Di Bartolo, 2 aprile 2023

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