Cronaca

Il mondo al contrario

Caro Diego Fusaro, su Vannacci sbagli di grosso

fusaro libro

Nel mese di agosto succede ben poco di rilevante sotto il profilo politico, c’è spesso però una bella polemica a tenere svegli gli animi. Questa volta è successo a un generale dell’Esercito che con un libro ha scalato tutte le classifiche, benché gli stia costando un procedimento disciplinare e futili discussioni anche nella maggioranza di governo. Si è già scritto di tutto e di più e non sarei intervenuto di nuovo con una “beccata” sul caso, perché agosto è agli sgoccioli e i problemi reali sono altri. Da filosofo però vorrei replicare ad un’osservazione di Diego Fusaro.

Utilizzando la distinzione tra “uso pubblico” e “uso privato” della ragione fatta da Kant all’inizio di un celebre scritto, Che cos’è l’illuminismo?, Fusaro giunge, in buona sostanza, alla conclusione che il generale avrebbe fatto meglio a tacere, tenendo per sé le sue idee che tanto scandalo hanno suscitato. Facendo mio il detto amicus Plato sed magis amica veritas, mostrerò come Kant giunga ad una conclusione opposta a quella che Fusaro gli attribuisce.

Kant è vero distingue tra un “uso privato” della ragione, che “può anche essere strettamente limitato”, e “uso pubblico” della ragione, che “deve invece essere libero in ogni tempo”. E spiega che l’uso privato è quello che qualcuno può farne, ad esempio un ufficiale, in un certo impiego o funzione a lui affidata. Sarebbe infatti molto deplorevole che un ufficiale, cui sia stato dato un ordine dal suo superiore, volesse “in servizio pubblicamente ragionare sulla opportunità e utilità di questo ordine”. Egli deve obbedire, anche se in privato può non condividere questo ordine.

Kant però non si limita a questa considerazione. Egli, infatti, prosegue osservando che quell’ufficiale è pur sempre allo stesso tempo membro di una comunità di cittadini e può far uso come studioso dell’uso pubblico della ragione come chiunque altro, e quindi “non è giusto impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e sottoporle al giudizio del suo pubblico”. Ciò, aggiunge Kant, vale non solo per i militari ma per tutti i “i membri della macchina governativa”. (Mi sento come prof kantianamente protetto). La fedeltà allo Stato non fa venir meno il “pubblico uso della propria ragione”.

Nel nostro caso il generale ha scritto un libro dove non mette in discussione alcun ordine militare, ma espone le sue idee, che possono piacere o meno. Kant per questo non lo avrebbe sottoposto ad un procedimento disciplinare. Questo è lo spirito del liberalismo, ma a quanto pare nell’epoca del politicamente corretto lo abbiamo perduto.

Paolo Becchi, 23 agosto 2023, articolo pubblicato su IlGiornale del Piemonte e della Liguria