La posta dei lettori

Caro Porro, che incubo: l’aereo ci ha letteralmente lasciato a terra

aeroporto aereo © Juanmonino e Peshkova tramite Canva.com

Gentile Dott. Porro,

spero lei stia bene e si stia godendo le vacanze. Purtroppo nel mio caso non è così e mi rivolgo a lei per portare alla sua attenzione una situazione paradossale che ha trasformato una piacevole vacanza negli USA in un vero incubo. Cerco di riassumerle brevemente.

Ad aprile prenoto con un’amica un viaggio combinato New York e Miami tramite voyage prive, nessuna delle due è mai stata in America, siamo elettrizzate! Tutto fila liscio, da New York ci spostiamo a Miami senza intoppi e trascorriamo una piacevole vacanza; al momento di rientrare in Italia però, qualcosa va storto. Venerdì 16 agosto ci rechiamo con largo anticipo all’aeroporto di Miami, il volo è alle 12, ma alle 9,30 siamo già lì. La compagnia con cui abbiamo avuto la sfortuna di volare è American Airlines, andiamo al desk, facciamo il check in e imbarchiamo la nostra valigia (avendo acquistato tramite una terza parte e dovendo pagare separatamente l’imbarco del bagaglio non ci era consentito fare autonomamente il check in online, ma forti di aver già vissuto la stessa esperienza all’andata nessun dubbio ci sfiora). Ci consegnano la boarding pass senza un posto assegnato, ma con la scritta “you have been assigned to priority list”, ovviamente nessuno ci dice nulla ma insospettite ci rechiamo subito al nostro gate e chiediamo informazioni appena si presenta l’addetto della compagnia.

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“Wait” ci viene detto all’esplicita richiesta di stamparci una vera e propria carta di imbarco. L’imbarco inizia e contestualmente vediamo proiettata una schermata con un elenco numerato di persone in stand by list, i nostri nomi non sono tra quelli, ovvio perché noi dovevamo essere su quel volo e non in lista d’attesa. Chiediamo ulteriori informazioni, scannerizzano nuovamente il nostro biglietto e con modi per niente garbati ci ripetono scocciatamente “keep calm and just wait”. Lo stesso teatrino si ripete altre volte finché compare la scritta “flight closed” e sotto i nostri occhi vengono chiamate diverse persone in stand by list mentre noi rimaniamo letteralmente giù dall’aereo. La frustrazione, la rabbia e il disappunto sono palpabili, ma nulla in confronto a quando ci sentiamo dire che risultiamo come “no show”, ovvero come se non ci fossimo presentate, proprio da quegli stessi incompetenti incapaci a cui avevamo chiesto più e più volte delucidazioni.

A quel punto veniamo inserite nella famosa stand by list che ci avrebbe consentito di prendere comunque la coincidenza JFK-MPX “grazie” ad un ritardo del volo in partenza da New York. Ci riposizioniamo al gate, attendiamo il termine dell’imbarco e un brivido misto speranza ci sfiora man mano che le persone in lista d’attesa vengono chiamate. Io ero il numero 12, la mia amica il 13: sento il mio nome, sorrido sollevata, ma dura poco perché c’è posto per una sola di noi, io. Non ha senso accettare e separarci, così rinuncio facendo la gioia di un altro malcapitato nelle mani di American Airlines.

Con lo sconforto nel cuore andiamo all’area informazioni della compagnia, dove ridendoci in faccia ci dicono che avevamo i posti assegnati nel primo volo, ma non ci siamo presentate. Faccio appello a tutto lo spirito zen che lo yoga e la meditazione mi hanno insegnato in questi anni e cerco di fare sfoggio dell’atteggiamento politically correct americano, ma la tentazione di battere un pugno sul tavolo e urlare è davvero forte! In breve ci dicono che siamo le prime in lista d’attesa per il volo delle 17,30 e ci assegnano un posto assicurato per quello delle 19. Impossibile pensare di rientrare a Milano nella giornata del 17 come da programma, l’unica soluzione è prendere il volo delle 18,59 del giorno dopo: dunque ci rifilano un voucher per uno squallido Hilton stile motel sull’autostrada e due voucher a testa da 12 dollari per il cibo. Questa è palesemente la prova che qualcosa non torna nel primo volo, perché dubito fortemente che questa compagnia di scappati di casa elargisca biglietti e voucher senza motivo, cerco di farlo ammettere ma nulla, nessuno sa niente e le colpe si rimbalzano.

Ci ripresentiamo all’imbarco del volo delle 17,30 con poche speranze e la rassegnazione di chi sa che non farà rientro a Milano nelle prossime 12 ore, ma colpo di scena, ci chiamano, saliamo sull’aereo e il terminal di arrivo è lo stesso da cui parte il volo per Malpensa, 40 gate ci separano. Il ragazzo all’imbarco ci saluta dicendo “Guess Who is going to Milan” e mi strappa un sorriso timido. Mi chiedo se ormai quel biglietto sia ancora valido dato il circo dei vari cambi, ma mi dico “tentar non nuoce”. Faccio presente alla hostess la nostra coincidenza e mi tranquillizza proponendomi un bicchiere di vino che accetto di buon grado vista la situazione. L’aereo parte con mezz’ora di ritardo per traffico aereo, mi dice di stare tranquilla e che recupereremo in volo. Bevo il mio Chardonnay e le lacrime iniziano a scendere, terrorizzata all’idea che quell’incubo non fosse destinato a finire. All’atterraggio annunciano che ci sono persone con una coincidenza da prendere e invitano gli altri a stare seduti e far passare.

Facendomi largo tra un uomo di mezza età che mi insulta e mi mette le mani addosso spingendomi, riusciamo finalmente a raggiungere l’uscita, dico alla hostess il numero del volo (198), pregandola di avvisare i colleghi: abbiamo 8’ prima del decollo. Stremate corriamo all’impazzata cercando di accorciare le distanze tra quei 40 infiniti gate separati da due piani di scale, ma è tutto inutile, al gate numero 6 non c’è più nessuno. Come gesto automatico ci rechiamo nuovamente al punto informazioni di American Airlines, lamentandoci come sempre senza alcun riscontro. Ci suggeriscono di lasciare le valige al JFK e recarci in hotel, ma non prima di essere passate personalmente al baggage claim, perché no, loro non possono verificare nulla.

Chiediamo dunque di farci il check in per il giorno successivo, ma no, anche questo non possono farlo. Stremate scendiamo a controllare le valigie per sentirci dire che sono lì e partiranno con noi (ci crediamo?!), ci ficchiamo su un taxi a parte spese e arriviamo al fatiscente Hilton Garden Hill vista autostrada. Siamo digiune dalle 3, vorremmo mangiare con i voucher che ci hanno consegnato, ma purtroppo la cucina è chiusa. Passo una notte insonne, affamata, arrabbiata, con gli stessi vestiti indossati 12 ore prima e che mi terrò per le successive 24. Il nervosismo ci pervade anche appena “sveglie” e decidiamo di recarci subito in aeroporto per avere le nostre carte di imbarco con posti assegnati. Prendiamo uno shuttle e un air train, arriviamo a JFK e riusciamo finalmente ad avere le nostre carte di imbarco. Chiediamo upgrade in business, ma non è possibile.

Le scrivo questo poema da una sedia del gate 46, terminal 8, quello da cui dovremmo partire alle 18,59 ora locale sperando di poter tornare presto a casa, ma soprattutto augurandomi che lei possa aiutarmi a dare voce a questa esperienza terribile in cui stiamo state trattate in maniera indecente, con l’auspicio che nessun connazionale (e non) debba mai vivere lo stesso. Io fortunatamente ho ancora una settimana di vacanza per riprendermi da questo strazio, ma la mia amica tornerà a lavorare lunedì con solo un vago ricordo del relax, completamente macchiato da queste 48 ore infernali a trascinarci in aeroporto, prigioniere di American Airline.

In conclusione ci tengo a specificare che ho 32 anni, sono nata a Biella e vivo a Milano da oltre 10 anni, sono laureata in Bocconi e lavoro in una nota azienda di moda, viaggio spesso per piacere e lavoro e come credo sia evidente non ritengo di aver commesso nessun errore di negligenza in questo viaggio della speranza. Mai e poi mai mi è successa una cosa del genere e spero che lei mi possa aiutare a riportare quanto accaduto ed evitare che gli amici di American Airline la facciano franca.

PS: amo la mitica zuppa di Porro e mi scuso per averla sottoposta alla “zuppa di Francesca”. Non so neanche se leggerà mai questo sfogo, ma mi auguro di si.

Grazie!

Cordialmente

Francesca Maroino


PPs: nel momento in cui pubblichiamo la lettera, dopo 53 ore di viaggio, adesso Francesca e la sua amica sono finalmente a casa.

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