Caro Porro, la Ferragni certifica: siamo una generazione di frignoni

1.9k 53
chiara ferragni sanremo-1

Caro Nicola,

Le scrivo per condividere con lei e i suoi lettori alcuni pensieri maturati in me dopo aver ascoltato il discorso tenuto da Chiara Ferragni al festival di Sanremo.

Al di là che come personaggio lei possa o meno piacere, trovo che ciò che debba far riflettere maggiormente sia il fatto che una persona sí talentuosa (personalmente il suo modo di vestire e di porsi a me non piace, tuttavia è da stupidi non riconoscere che sia stata brava ad individuare ciò che piace alle maggioranza e farne un fruttuoso business) ma sicuramente che nella sua vita è stata anche molto fortunata, faccia un monologo principalmente basato sulla lamentela e l’autocommiserazione: quanto è maschilista il mondo, quanto sono state cattive alcune persone con me, etc etc.

Un monologo che, tra l’altro, è piaciuto a molte persone che io reputo senza ombra di dubbio intelligenti. Quindi mi sono chiesta: “Ma come è possibile?!?” . E mi sono data questa risposta: “La sua lamentela rappresenta ciò che il 99% della mia generazione (generazione y) vorrebbe fare, ergo: lamentarsi. Ci lamentiamo per tutto, di continuo. Certo, le condizioni in cui l’italia è ora non sono quelle dorate degli anni di giovinezza dei nostri genitori, ma insomma, dobbiamo anche ammettere che a noi figli della borghesia degli anni 80 non è mancato mai nulla: buone scuole, vacanze, hobby da poter coltivare….

E in quel 99% mi ci metterei dentro anch’io, se non fosse che personalmente ho avuto due grandissime fortune. La prima: due genitori estremamente generosi ma ugualmente severi e allergici alle lamentele. Ogni volta che ho provato a lamentarmi, anche di cose che reputavo serie (ho un’impresa nell’ambito turistico e durante gli anni del Covid non me la sono passata benissimo), la risposta da parte di mia madre era sempre la stessa: “Margherita, non mi sembra che tu abbia una malattia terminale né che tu sia invalida, quindi smettila di lamentarti che i problemi irrimediabili sono altri“. La risposta standard di mio padre, ancora più tranchant: “Vai a fare un giro in bicicletta che ti passa”. E al mio piagnucolare: “Papà ma fuori diluvia!”, Lui: “Meglio ancora, così ti rinfreschi le idee”. Al tempo queste risposte mi hanno fatto montare dentro una rabbia furiosa, ma quanto mi hanno aiutato a far crescere la bambina che altrimenti sarei perennemente rimasta!

La mia seconda grande fortuna è stata quella di incontrare il mio attuale marito. Lui, a differenza mia, tutto quello che ha ottenuto nella vita, sin da ragazzo, se l’è dovuto conquistare con le sue sole forze, perché a casa sua non era scontato poter essere iscritti a scuole private e fare viaggi in giro per il mondo. Ha iniziato a lavorare mentre studiava a soli quindici anni, e mi ricorda sempre che sia io che i miei fratelli siamo stati cresciuti come “cavalli di razza purissima“, e che questa non è una fortuna comune a tutti.

Giusto la scorsa settimana, nostro figlio, che ha solo 3 mesi di vita, stava frignando mentre suo papà gli infilava la maglietta, e passando davanti alla porta ho sentito mio marito che, con tono dolce ma fermo, gli diceva: “Smettila di piangere, i maschi non piangono per queste scemenze“. Allorché io sono entrata in camera, e tutta tronfia del mio moderno pensiero ho detto: “Non si insegnano queste cose ai bambini, anche i maschi hanno il diritto di mostrare le loro emozioni e piangere se se la sentono”. Beh, la risposta di mio marito mi ha freddata subito: “Non gli sto insegnando a non piangere in generale”, mi ha detto, “ma a non piangere per le scemenze. Se io non fossi stato forte tenendomi dentro il dolore che provavo nei momenti difficili, non sarei stato in grado di tirare su te e sostenerti, e sarebbe stato un piagnisteo unico. A volte ci è richiesto di buttare indietro le lacrime, per un bene più grande”. Sono stata zitta. Non poteva avere più ragione di così.

E quindi, penso che a partire dal Palco dell’Ariston fino alle nostre vite quotidiane, dovremmo lamentarci di meno e fare andare di più le mani. Come hanno fatto i nostri grandi nonni nel dopoguerra, nonostante i numerosi morti in famiglia che ognuno di loro avrebbe avuto il diritto di piangere. Ma sono andati avanti. La famosa resilienza… Che nella società odierna è una parola che va molto di moda ma che al tempo stesso si sta completamente svuotando di significato.

Margherita Spinelli

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version