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Caro Porro, l’odissea di un nonno che non può godersi il nipote

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Caro Nicola,

mi chiamo Niccolò e sono un dentista specializzato in ortodonzia (un dentista per bambini). Leggendo i giornali per cui i bambini contagiano come mostri e le mascherine chirurgiche da sole non bastano a proteggerci, potrebbe sembrare strano che ti stia scrivendo invece sono ancora sano, vaccinato con la seconda dose da un mese circa e ahimè pieno di rabbia.

Facciamo un passo indietro. L’anno scorso in questo periodo stavo sciando. Sono anche maestro di sci, attività che ho svolto con regolarità durante gli studi ma che ora pratico con minore frequenza, e molto legato alla montagna (vergognosamente abbandonata) tuttavia non è questo il vero tema della mia lettera.

Il tema riguarda gli anziani ed in particolare la storia di come mio nonno ha vissuto questo ultimo anno. Nella metà di febbraio 2020 prendiamo la difficile decisione di mandare il nonno in una nota casa di riposo milanese a causa di una malattia degenerativa alle gambe che lo costringe a letto.
Purtroppo la sua casa in montagna (lui ha origini valdostane) non gli permetteva una vita decorosa a causa di scale, barriere architettoniche, assenza di personale domestico qualificato etc. Decidiamo quindi di ricoverarlo a Milano, al sicuro e più vicino alla nostra famiglia. Pochi giorni dopo, giusto il tempo di adattarsi a quello che per un anziano vedovo è inevitabilmente uno shock, inizia la sua odissea.

Presso la “sua” casa di riposo, in anticipo per fortuna rispetto alle altre, vengono ridotte le possibilità di visite e impongono i “famosi Dpi” ai parenti. I fatti sono ormai noti; ai primi di marzo, giorno in cui guardo la mia prima zuppa (da lì non ne ho persa una), gli accessi vengono completamente chiusi. Fortunatamente all’interno di quella struttura, per merito esclusivo del personale, prendono decisioni che permettono di ridurre i danni rispetto allo scempio che succede in altre Rsa simili. Fino a qui, per quanto sia scioccante il sentimento di abbandono che viene prodotto negli anziani ospiti delle Rsa e dei relativi parenti fuori, non posso assolutamente lamentarmi.

Nel frattempo, verso aprile presso gli studi medici dove lavoro, vengono prese serie precauzioni (anche in questo caso in “autonomia” e, con il buon senso che ha chi ha studiato anni ed anni microbiologia, prevenzione di infezioni etc) e con i pochi pazienti “coraggiosi” che avevano urgenze odontoiatriche si riesce a lavorare. Ad aprile il direttore della casa di riposo riesce a procurarsi i tamponi a proprie spese, cosa al tempo difficilissima, e decide di effettuarli a tutti gli ospiti della casa di riposo, anche agli asintomatici. Risultato: 40% sono positivi tra cui il nonno. Gli viene immediatamente somministrata la cura proposta (eparina e cortisone ) e, nonostante l’età di 80 anni, varie patologie pregresse, se la cava con pochi giorni di febbre. Nel frattempo le visite sono ancora bloccate e i rari modi per vederlo sono tutti “escamotage legali” in cui si sta fuori dalla Rsa e lo si saluta dalla finestra.

Non sono tra quelle persone che danno sempre la colpa agli altri, per cui all’inizio sembrava fosse giusto stare a suonare sui balconi e ora invece negano del tutto l’esistenza del virus non volendosi vaccinare, tuttavia quello delle case di riposo è un tema di cui non si parla. In estate quando il nonno era ancora abbandonato dentro la casa di riposo, con rarissime visite concesse, gli ho comunicato che sarebbe diventato bis-nonno e con una frase shock mi ha detto: “Mi sento solo ma tengo duro, voglio vedere il piccolo poi posso morire in pace”.

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