La posta dei lettori

Caro Porro, sono allibita: il Treno della Memoria espone bandiera palestinese

Gentile Nicola Porro,

mi chiamo Ilary Sechi e mi trovo a scriverle questa lettera aperta in seguito a un placido botta e risposta via e-mail tra me e l’organizzazione “Il Treno della Memoria”. Tuttavia, nonostante la pacatezza dello scambio, non le nascondo che tutto ciò mi ha lasciato dentro una grande amarezza. Tutto è iniziato domenica, mentre mi trovavo al Salone del libro di Torino. Stavo girando per gli stand e mi sono imbattuta in una bandiera palestinese, affissa proprio accanto allo stand del “Treno della Memoria”.

Ciò mi ha lasciata di stucco, perché non ho potuto non leggere in quell’accostamento la denuncia del genocidio palestinese in corso per mano di Israele. Così sono andata a casa e ho inviato un’e-mail all’organizzazione in cui ho esternato la mia indignazione, certo, ma soprattutto il dolore che mi ha causato quel parallelismo. Non perché io non abbia a cuore i civili palestinesi, vessati dalla guerra e dagli stenti che da essa conseguono, ma che stando ai dati, non credo stiano subendo un genocidio. Semplicemente, ho trovato che fosse un’offesa alla memoria dei morti della Shoah. Un/a rappresentante del “Treno della Memoria” mi ha risposto in maniera molto garbata, con una lunga e-mail che per una questione di privacy, come anche esplicitato nell’e-mail stessa, non posso riprodurre. Tuttavia, vorrei qui riassumerne il contenuto.

Subito mi viene spiegato che il “Treno della Memoria” ha molteplici finalità, che non riguardano solo lo studio della Seconda Guerra Mondiale, ma anche l’intento nobilissimo di creare le basi per rendere la cittadinanza consapevole e fornirle gli strumenti per contrastare ogni recrudescenza fascista in agguato sui giorni nostri. Mi hanno rassicurato che non è loro modus operandi fare paragoni, definendoli sempre sbagliati e, anzi, il loro obiettivo è quello di formare i giovani in modo che ambiscano a una società democratica e inclusiva, legata a doppio filo agli insegnamenti della lotta antifascista.

Subito dopo, mi viene sottolineato che l’organizzazione non può dunque impedire a questi giovani di attivarsi in aiuto a chiunque stia subendo un’ingiustizia, senza mai farsi ostacolare da questioni di nessun tipo, che siano di carattere etnico, religioso, di genere ecc., con il fine ultimo di approdare a un mondo migliore e giusto. In tutto ciò viene anche inglobata la sorte dei palestinesi e delle 38mila vittime civili che il conflitto a Gaza ha mietuto, senza contare le privazioni, la paura e la tragedia della popolazione ancora viva. Quindi mi chiedono scusa se ho frainteso l’uso della bandiera palestinese, che per loro non vuole essere modo per obliare la memoria ma, anzi, farsi testimoni di essa.

Successivamente mi viene riportato il link di un appello, firmato dai membri delle comunità ebraiche italiane. Una lunga citazione comparsa su Il sole 24 ore che, come è facile intuire, è una aspra critica a Israele, cui segue anche l’invito a leggere le dichiarazioni di Edith Bruck – specificandomi che è una sopravvissuta della Shoah – in merito alla sua lotta contro il premier Netanyahu. In ultimo mi spiegano che al Salone del Libro hanno promosso un evento di amicizia tra popoli e hanno invitato due studenti palestinesi, che hanno visitato Auschwitz e ne hanno parlato, parimenti alla loro storia, perché ricordare il genocidio degli ebrei sia un monito per contrastare il genocidio dei palestinesi.

Arrivata in fondo ero molto amareggiata, come dicevo. Sono amareggiata, per tante ragioni. Sono amareggiata perché la bandiera palestinese esposta rappresentava solidarietà al popolo palestinese, certo, ma senza considerare che fanno parte di quel popolo anche quei civili che sono entrati a Gaza il 7 ottobre in massa e hanno compiuto un massacro. Avrei preferito una bandiera della pace, o magari affiancare le due bandiere, quella palestinese e quella israeliana. Dopotutto, Israele continua a essere bombardata. Israele ha quasi mezzo milione di sfollati. Anche a Israele ci sono bambini spaventati, che mi spezzano il cuore come i bambini palestinesi con le lacrime appese alle ciglia. Israele ha famiglie che piangono parenti morti e parenti ancora in mano nemica. Quindi non capisco perché tutto ciò non venga preso in considerazione se si parla di solidarietà verso tutti.

Sono avvilita perché non si vuole di certo negare che ci sia stata un’ecatombe, ma nonostante persino l’ONU abbia riconosciuto che i numeri dei morti forniti non sembrano essere veritieri, ancora si legge la cifra di 38mila civili morti, civili, laddove sappiamo che migliaia di essi sono terroristi eliminati. Ciò che non comprendo è la cieca fiducia in questi dati, soprattutto stando a certe dichiarazioni, in cui gli stessi esponenti della “resistenza” palestinese non hanno fatto tesoro della necessità di sacrificare i civili per la vittoria (si legga scudi umani). E poi sono avvilita perché l’autorità di chi parla sembra venire stabilita sulle posizioni che prende. Se la signora Bruck è contro Netanyahu, la sua parola è giustamente oro. Chi più di lei può dire cosa sia un genocidio? Ma è anche vero che ci sono molti che sostengono una visione opposta, ma essi non vengono presi in considerazione, vengono squalificati in automatico.

In ultimo, l’accusa di genocidio. Senza contare che la corte dell’Aja non ha formalmente riconosciuto un genocidio in atto ma ha messo in guardia Israele dal fare di tutto per non commetterlo, questa accusa non è nata ieri, perché Israele viene accusata di genocidio da decenni. Eppure, i palestinesi hanno continuato ad andare a lavorare a Israele – tanto è vero che molto probabilmente sono stati molti di loro a “mappare” le zone attaccate il 7 ottobre. Molti palestinesi sono stati curati gratuitamente negli ospedali israeliani ma, soprattutto, sono aumentati di numero.

Ma mi si può rispondere “il genocidio è ora”. Eppure Israele continua a inviare aiuti umanitari, ha acquistato migliaia di tende per gli sfollati e inonda di volantini la popolazione civile per avvertirla sui luoghi e le ore in cui ci saranno dei bombardamenti e dove spostarsi per salvarsi la vita. Queste cose sono reali, non si possono ignorare. Sono amareggiata, perché credo fermamente che la virtù stia nel mezzo. Perché non ho mai creduto che ci fossero un innocente e un colpevole ai vertici di questo conflitto. È stato bellissimo che siano stati invitati due studenti palestinesi a parlare del genocidio, ma sarebbe stato bello se ci fossero anche stati due giovani israeliani sopravvissuti, non uso questa parola a caso, all’eccidio del Nova Festival.

Grazie per la sua attenzione.
Ilary Sechi

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