Censura social: anche gli anti Trump ora sono spaventati

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Se anche importanti personalità non certo appartenenti al mondo conservatore, sovranista o liberale iniziano a manifestare preoccupazione per la stretta in atto da parte dei social network con la censura di post, tweet con e con la chiusura di migliaia di profili Facebook, Instagram e Twitter, significa che la situazione è davvero grave.

Trump “bannato”, le reazioni

La scelta di Twitter di sospendere permanentemente il profilo di Donald Trump ha messo in luce una questione evidente da tempo ma che molti hanno preferito fino ad oggi ignorare girando la testa dall’altra parte: lo strapotere dei social network. Oltre alle numerosi voci che si sono espresse a favore della libertà di espressione e di parola, devono far riflettere le dichiarazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel che ha definito “problematica” la sospensione di Trump e le parole del suo portavoce che ha preso le distanze dalla linea di condotta dei social: “È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, non per decisione di un management aziendale”.

Anche il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha assunto una posizione ben precisa: “La regolazione dei giganti del web non può essere fatta dall’oligarchia digitale stessa”, così come il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton: “Il fatto che un Ceo possa staccare la spina dell’altoparlante del presidente degli Stati Uniti senza alcun controllo e bilanciamento è sconcertante. Non è solo una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale”. Parole a cui ha fatto eco l’europarlamentare Manfred Weber, capogruppo del Ppe: “abbiamo bisogno di un approccio normativo più rigoroso”.

Facebook, Twitter e Instagram come editori

Se nel mondo americano personalità di spicco come Elon Musk si sono dette contrariate del fatto che le aziende del big tech siano diventate de facto “arbitri del free speech”, in Italia tra le voci che si sono espresse con più decisione contro la scelta dei social newtork, c’è quella di Massimo Cacciari: “Un’impresa economica la cui logica è volta al profitto non può decidere chi parla e chi no. Non è più neanche un sintomo. È una manifestazione di una crisi radicale dell’idea democratica e che alcuni democratici non lo capiscono vuol dire che siamo ormai alla frutta”.

Al netto delle voci critiche da una parte della sinistra, c’è chi ancora giustifica la censura di Facebook, Instagram e Twitter affermando: “Sono aziende private, fanno quello che vogliono” dicendo un’enorme fesseria. Anzitutto anche i privati devono rispettare i principi costituzionali (e la libertà di espressione e di parola è un diritto costituzionale), in secondo luogo se delle piattaforme social fanno selezione dei contenuti in base a una linea editoriale non sono più tali ma diventano editori e devono perciò sottostare alle regole a cui deve risponde ogni editore.

Privacy a rischio

Infine, continuare a negare, sottovalutare o eludere il problema del potere enorme che hanno assunto i social network e che ha superato quello degli stati sotto tanti punti di vista, significa negare la realtà e procrastinare un problema non più rimandabile. Whatsapp (di proprietà di Facebook) ha già introdotto nuovi criteri sulla privacy per l’utilizzo dei dati personali.

La stretta è iniziata sui social network, poi probabilmente si passerà alle chat, in seguito alle email, infine ai server per i siti internet con grandi aziende private che si sostituiscono alle leggi statali per decidere chi ha diritto di parola e chi no.

È in gioco un principio cardine della democrazia, o si interviene ora o sarà troppo tardi (e forse lo è già), per questo è necessario prendere una posizione netta su questo tema e e il mondo politico, a prescindere dall’apparenza partitica, dovrebbe fare altrettanto.

Francesco Giubilei, 12 gennaio 2020

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