Centrodestra a pezzi anche sulla giustizia

Dopo la debacle dell’elezione del Quirinale, i leader si dividono pure sui referendum

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L’impressione è che a volte il rapporto fra le forze e i leader del centrodestra non sia segnato da una sana e legittima competizione bensì da una rivalità che nuoce in ultima istanza agli stessi contendenti. I quali in questo modo mostrano di non credere loro per primi in quell’identità di valori su cui gli elettori invece non dubitano e che continuano a premiare col voto. Salvo poi vedere ogni giorno le loro idee condannate all’inefficacia appunto da certi masochistici comportamenti.

Gli errori del centrodestra

Dalle recenti elezioni amministrative all’ancor più recente elezione del Presidente della Repubblica, la destra ha mostrato tutta la propria incapacità pratica, che è prima di tutto scarsa coesione e incapacità di distinguere il contingente dall’essenziale. Inutile dire che questa situazione preoccupa non poco i tanti elettori e simpatizzanti di questa parte politica, portandoli ad essere sostanzialmente pessimisti per le sorti future delle idee conservatrici nel nostro Paese. La questione della giustizia rischia di essere un’altra occasione di débacle collettiva: ad uscirne perdente potrebbe essere non solo e non tanto Matteo Salvini, a cui pur si deve la geniale intuizione di appoggiare i referendum liberali e garantisti proposti dal Partito radicale, quanto l’intero schieramento che si oppone alla sinistra.

Giustizia, la frenata della Meloni

La riforma radicale della giustizia non è infatti un tema secondario per il centrodestra, ma il senso ultimo di tutto il nostro trentennale opporci a una magistratura politicizzata e spinta da pulsioni illiberali e antidemocratiche di cui Silvio Berlusconi è stato la vittima sacrificale. Una magistratura che con il suo interventismo ha falsato il gioco democratico. Su questa riforma bisognerebbe essere coesi e fermi sull’obiettivo, mostrando quella capacità di superare il proprio particulare che fa di un capo partito un vero e proprio leader.

Desta perciò non poche perplessità l’atteggiamento che sulla benemerita iniziativa radicale, che martedì passerà al vaglio della Corte Costituzionale, sta tenendo Fratelli d’Italia. “Troviamo incomprensibile – ha detto Giorgia Meloni – che questi temi, nell’acclamazione trasversale del discorso di Mattarella, non possano trovare rapida soluzione legislativa in Parlamento, facendo risparmiare centinaia di milioni di euro agli italiani”. E ha aggiunto, passando alla prassi: “Depositeremo in questi giorni una mozione in tal senso e vedremo chi ci sta o meno”.

Ora che il Parlamento non sia in grado di fare ciò, per la forza della potente lobby dei magistrati e per il predominio in esso delle forze politiche giustizialiste, è talmente evidente che pensare il contrario è semplicemente un sofisma. D’altronde, se la timidissima riforma presentata dalla Cartabia è, a detta di tutti, a serio rischio di essere stravolta in aula, figurarsi cosa succederebbe a proposte di leggi che renderebbero effettuali principi come la separazione vera delle carriere, una vera riforma del CSM, la responsabilità sociale dei magistrati, la loro valutazione! (incomprensibile è anche, almeno da un punto di vista liberale, che sugli altri due quesiti sottoposti a referendum, e cioè i tempi della custodia cautelare e l’abrogazione delle legge Severino, Fratelli d’Italia si sia schierata con i giustizialisti).

E poi, come ha osservato Giulia Buongiorno, “i quesiti toccano questioni costituzionali che non si possono certo cambiare con un emendamento votato dal Parlamento”. L’impressione è che, pur di fare un dispetto alla Lega, Fratelli d’Italia metta ostacoli alla concreta possibilità di cambiare veramente le cose dando la parola ai detentori ultimi della sovranità, cioè ai cittadini. Che è un po’ come l’atteggiamento di quella moglie che, per fare un dispetto al marito, gli tagliò i genitali.

Corrado Ocone, 13 febbraio 2022

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