Cultura, tv e spettacoli

Che noia i Coldplay, influencer ipocriti e buonisti

Il tour del gruppo in Italia tra omaggi a Pino Daniele a Napoli e “Oh mia bella Madonnina” a Milano. Green ma in jet privato

Santoddio, la noia. I Coldplay sono proprio lo spirito del tempo, cioè la noia. Tutto così piatto, così banale, così prevedibile, così liofilizzato, musica di consumo senza musica, puro consumo che si maschera con l’impegno sociale ciarlatano, con la filantropia cialtrona che dissimula una licantropia malsana. Noiosi come le loro prediche, come il woke di cui sono inzuppati, come le agende progressiste di cui fanno i testimonial, come le campagne elettorali per i Dem, da Kerry a Obama, come le crociate per i genderdisney. Noiosi, mortalmente noiosi, senza mito, senza epos, nessun sentore tragico, nessuna ombra di morte senza la quale l’arte non è proponibile, non esiste, semplicemente e difatti questi sono niente, quell’inconsistenza zuccherina giulebbosa noiosa odiosa da jingle pubblicitario, Viva la vida, palloncini, cesti pieni di sogni, ma cresci, che è ora.

Noiosi come è sempre noiosa l’ipocrisia lastricata di buoni sentimenti e di ottime intenzioni regolarmente millantate. Come la storia del cantante bravo ragazzo, il Chris Martin che è di una noia mortale, con l’amorazzo, azzo, azzo, con quell’aringa secca della Paltrow, inconsistente come attrice, ottima come Wanna Marchi oscena, candele al sapore di fica, proprio così, sassi, tovaglioli, alghe impregnate d’umor vaginale, pensa te e la gente demente li compra così come compra la non-musichetta dei Coldplay, 100 milioni di copie, cento milioni di truffe, ma alla fine che hanno fatto di notevole, di duraturo? C’è chi ricorda un loro successo? I Coldplay sono, in grande, come i nostri picccoli insignificanti Bluvertigo, come lo spaventapasseri Morgan che se la canta e se la suona da solo, se la tira da compositore ma non ha mai fatto niente e a Sanremo gli orchestrali volevano trafiggerlo con gli archetti, tipo san Sebastiano in riviera.

Viva la rotura de cojoni. Noiosi, perché falsi, come gli U2, come i Radiohead, come i Pearl Jam, come Sting, come Springsteen, “il Boss” dei Dem, per dire quelli che leccano, oh se leccano, sempre sul palco con un politico progressista e rompono i coglioni con l’ecologia, l’ambiente, i cambiamenti climatici, Greta, le biciclettine elettriche nel retropalco e poi girano col jet privato. Le campagne moralistiche e socialistiche per puro investimento d’immagine, questi sono influencer della melassa buonista, non c’è sostanza in quello che fanno, solo posa, ma una posa ancor più insopportabile perché virata ai buoni sentimenti, perché impone il buon esempio; e non c’è peggior carogna di chi in pubblico fa il bravo. Noiosi. Ipocriti. Prevedibili. A Napoli s’informano e cantano l’omaggio a Pino Daniele, e tutti, subito: uhè, ‘a Maronn v’accumpagna, che cuore che tenete, che anima. Poi, in jet privato, arrivano a Milano, s’informano e cantano Oh mia bela Maduina e tutti, subito: oheee, son forti però questi qui, sono proprio delle belle persone.

Ma andate affanculo. I Coldplay, o Cosplay, è uguale, come il Fernet nel caffè al posto dell’Anisetta, che tanto non se n’accorge nessuno, sono puro evento, non-musica per chi la musica non la conosce, non è in grado di decifrare costa dentro un brano, il ruolo degli strumenti, la pulsazione del rock and roll, che, per dirne una, non è rompere le palle coi buoi sentimenti ma l’eterna allegoria della scopata, del sesso: o c’è, o fai altro, non è cosa. Ora, questi Coldplay non sono assolutamente rock ma non sono neppure il pop nobile che discende da una precisa tradizione anglosassone, non sono sperimentali, non sono classici, non hanno niente. Sono Che tempo che fa. Sono la Littizzetto. Sono la Ue. Sono Ursula von der Leyen, la riconversione green, l’auto elettrica, questa roba qua, questo tempo qua. Concerti per manager, modelle, creator digitali impegnati nel sociale, quella miserabile fauna lì, a Milano ad aprire per questi c’era una Mara Sattei, e chi sarebbe, una che si scambia le consolanti del nome?

Sushi e influencer, gente famosa per essere famosa o che si sbatte per essere famosa, nessun brivido, nessuna implicazione, puro consumo di consumo di fuffa. Andare al concerto dei Coldplay aiuta il pianeta, i poveri, l’Amazzonia, la registrazione delle coppie omogenitoriali, vuoi che a Roma non faranno una stornellata, vuoi che in Emilia non diranno tin bota, magari dedicando il concerto a Elly Schlein. Dio che noia che barba che noia, poi il concerto dura due ore e mezza, ma riempite di che? Di palloncini, di schiuma, di video di Walt Disney reloaded in gender? I Colpdlay sono un insulto alla musica e chi sa di musica non può prenderli sul serio neanche pagato.

Certo, sono tanti, sono sempre di più, a proposito: i due milioni e mezzo dei soliti noti “per l’Emilia Romagna”, spiccioli con cui non comperi neanche una vasca di contenimento a fronte di 8 miliardi di danni, spiccioli investiti nell’autopromozione dei buoni sentimenti, dove vanno materialmente a finire? Ci piacerebbe saperlo. Di queste buffonate la musica di consumo pullula, e sono autentiche pagliacciate dove nessuno è davvero innocente. Il colplayismo cinico e baro. Almeno certe ruffianate le lasciassero fare a Renatone nostro che se non altro ce mette er core, quest’anno è mezzo secolo spaccato che fa dischi e ancora je l’ammolla, se vuole, quando vuole, retorico, sentimentoso, ma ogni tanto il cobra si sveglia e una mozzicata ancora te la tira e comunque non c’è paragone, ha fatto tutto, rock, pop, opera, follia, mettilo davanti al ragazzo Martin e quello si dissolve come medusa al sole. Meduse, sono, tutti questi poseur, meduse, non artisti, testimonial di quanto di più scemo e fatuo e falso c’è a questo mondo, elettrobici inclusa.

Max Del Papa, 26 giugno 2023