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Codice appalti, la rivoluzione buona di Salvini

In Italia manca la solida cultura del fare: anziché pensare ai massimi sistemi, servono risposte ai cittadini. Come il codice degli appalti

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Abituati a ragionare sui “massimi sistemi”, a volte dimentichiamo che la politica consiste anche nel saper dare risposte concrete ai cittadini. Per carità, le idee in politica sono fondamentali: senza di esse, il politico non ha identità, non è riconoscibile dagli elettori e, conducendosi a casaccio, diventa facile preda di lobbies bene organizzate. Parafrasando Kant, una politica senza idee è vuota; e una prassi politica senza idee è cieca. In Italia, in verità, non c’è in politica una solida cultura del fare: spesso ci si perde nel dibattito ideologico o si concepiscono leggi apparentemente “perfette”  ma poi non le si riesce ad applicare nella realtà. Il pragmatismo, la cultura del fare, è fra la l’altro la cifra che caratterizza una politica non ideologica e liberale da una che non lo è.

Nuovo codice appalti, i due principi ispiratori

Una felice eccezione a questo italico andazzo è costituita dal nuovo Codice degli appalti, che Matteo Salvini, come ministro delle infrastrutture e ei trasporti, ha fortemente voluto e che entrerà in vigore dal primo aprile prossimo. Non ha qui senso dilungarsi sui contenuti del nuovo Codice, ma basta ricordare i suoi due principi ispiratori: da una parte, il “principio del risultato”, dall’altro il “principio di fiducia”. Detto in soldoni, lo Stato non si intromette più nella attuazione di un progetto, né impone estenuanti controlli ex ante al vincitore di un appalto, non si fa arcigno e guardingo ma lascia fare agli operatori economici il proprio mestiere. Esige solo che i tempi e i costi pattuiti siano rispettati, affidando ovviamente alla magistratura la verifica ex post di eventuali illegalità. Dare fiducia agli imprenditori, a chi produce ricchezza, non vessarli ma esigere da loro solo il rispetto delle leggi, non disincentivare gli investimenti privati e stranieri, è in questo momento essenziale per lo sviluppo del nostro Paese.

L’Italia, come è noto, non cresce da tempi immemorabili ed è fanalino di coda in tutti gli indici di produttività. Quello imposto da Salvini è, fra l’altro, un vero e proprio rovesciamento culturale: alle politiche di cieco assistenzialismo che finiscono per deprimere le energie degli individui, rendendoli fra l’altro dipendenti dal paternalistico benvolere dei governi, qui si oppone una cultura che premia l’intraprendenza e la laboriosità di chi inventa, lavora, crea ricchezza per sé e per gli altri: di chi non chiede, ma dà alla comunità. “Semplificare, velocizzare, tagliare la burocrazia: sono questi i principi ispiratori – ha detto Salvini – che hanno guidato la stesura del nuovo Codice degli appalti”.

Appalti, l’endorsement di Cassese

E ieri è forse arrivato al Ministro il più inatteso degli endorsement, quello del costituzionalista e amministrativista oggi più autorevole che opera in Italia, le cui posizioni non sempre sono condividibili per chi come noi poco credo in una governance globale ma che sicuramente è un implacabile critico delle disfunzioni e tare del nostro sistema amministrativo. “Mi felicito con il Ministro Salvini – così ha detto in un convegno Sabino Cassese, perché di lui si tratta – per l’input che ha dato al decreto legislativo per l‘attuazione del Codice degli appalti.

È un codice che cambia registro, un Codice del fare piuttosto che impedire di fare”. Si tratta sicuramente di un piccolo, essenziale, passo per una sempre auspicabile, per quanto inattuale, “rivoluzione liberale” italiana. Che sia il benvenuto!

Corrado Ocone, 26 gennaio 2023

 

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