Come gli influencer hanno ucciso gli intellettuali

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C’è un grande assente nel dibattito pubblico italiano ed è la figura dell’intellettuale. Parola vituperata, abusata, fraintesa di cui si sono fatti fregio negli ultimi decenni persone che avevano ben poco a che fare con la cultura e di contro respinta da chi avrebbe potuto fregiarsene a pieno titolo, ha assunto un’accezione diversa da quella originale nel momento in cui se ne sono appropriati i cosiddetti “Intellettuali organici” di comunista memoria.

Perdita di indipendenza e l’avvento del web

L’intellettuale ha così perso la propria funzione barattando l’indipendenza di pensiero e l’onestà intellettuale con favori e prebende di partito, fedele al motto di longanesiana memoria “tengo famiglia”. Si è così perso lo spirito critico, la capacità di analisi, il coraggio di esprimere opinioni e pensieri anche scomodi ma profondi e necessari. In parallelo alla perdita di indipendenza rispetto al mondo politico, è avvenuta l’evoluzione dei media che ha sancito il progressivo declino dei principali strumenti di comunicazione degli intellettuali: i quotidiani e le riviste. Con l’avvento del web, la crisi dell’editoria, il crollo delle vendite dei quotidiani e il cambio di funzione dei giornali – non più strumenti di influenza dell’opinione pubblica ma solo di un pubblico di addetti ai lavori – è venuta meno anche la capacità di incidere nelle masse. Non tutti gli intellettuali riescono infatti a fare il passaggio alla televisione che richiede, oltre a una certa telegenicità, tempi brevi, concetti dritti al punto e impossibilità di approfondimenti che diventerebbero noiosi per i telespettatori, pochi sono gli intellettuali che riescono a unire profondità di contenuti con la capacità di divulgarli in modo semplice e diretto

Intellettuale vs influencer

Un fenomeno estremizzato con i social network, piattaforme che premiano l’immediatezza e la scarsità di approfondimento e riflessione, in parole povere l’antitesi del ruolo degli intellettuali che sono stati sostituiti dagli influencer. Quando accade un evento che meriterebbe di essere analizzato e approfondito attentamente per le implicazioni socio-culturali come l’uccisione di Willy, invece di comprendere il retroterra che si cela dietro il gesto compiuto dal branco di Artena, il dibattito scivola su un terreno che nulla ha a che fare con quanto accaduto a Colleferro a causa della dichiarazione di una famosa influencer. Se un uomo di cultura per raggiungere uno status e una credibilità deve compiere un lungo percorso di studio, approfondimento, scrivendo libri, saggi e articoli, per l’influencer è sufficiente costruirsi una platea social con dinamiche del tutto scevre da capacità culturali o intellettuali.  Per diventare influencer bisogna sottostare alle regole del politicamente corretto dicendo quello che le persone vogliono sentirsi dire per aumentare ulteriormente il proprio consenso, un costante inseguimento agli algoritmi e ai suggerimenti degli uffici stampa. I contenuti condivisi sono ripetitivi, alle volte identici a quelli dei propri colleghi non solo italiani ma anche stranieri mortificando e distruggendo il dibattito culturale.

Siamo ormai ben oltre a quella che Guy Debord definisce la “società dello spettacolo”, entrati ormai a pieno titolo nella “civiltà dello spettacolo”, per citare il Premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa che nel suo libro denuncia come: “La cultura, nel senso attribuito per tradizione a questo vocabolo, è sul punto di scomparire […] sacrificata in nome della ricerca del piacere e dell’intrattenimento. Il ritratto di un tempo destinato alla decadenza”. Eppure oggi ci sarebbe un gran bisogno degli intellettuali per tornare a riflettere e ragionare creando dibattito nel momento in cui anche la politica si è piegata alle logiche del facile consenso e della comunicazione social.

Francesco Giubilei, 12 settembre 2020

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