Le opzioni sono due, per salvarci dall’eterno rompimento di scatole. O aboliamo il 25 aprile e il 1° maggio, concertone incluso, oppure chiediamo sommessamente a tutte le autorità pubbliche di evitare di investire tempo a redigere discorsi con tonnellate di inutile retorica. Tertium non datur. Sulla liberazione dalla Liberazione non riponiamo molta fiducia, è vero. Ma almeno in occasione della festa del lavoratori, sia Sergio Mattarella che Elly Schlein potrebbero farci il piacere di godersi una grigliata in famiglia senza opprimerci coi soliti allarmi sugli “stipendi troppo bassi” o con patetiche richieste di “salario minimo”.
E attenzione: non stiamo dicendo che le paghe poco elevate non siano “un grande problema per l’Italia”, come sostiene il soporifero presidente della Repubblica. Il punto è che ogni anno si ripropone la solita minestra: stesse dichiarazioni, stessi allarmi, stessi titoloni sui giornali, poi l’anno dopo siamo punto e daccapo. Il motivo? Facile. Il lavoro non si crea dal nulla, i soldi non crescono sugli alberi e la povertà non la si cancella per decreto. L’unico modo per incrementare i salari sarebbe aumentare (e di molto) la produttività, il Pil, dunque la ricchezza generale e di riflesso anche quella dei lavoratori. Ma siamo un Continente ripiegato su se stesso, che regola ma non innova, che distrugge l’automotive in nome del green e poi frigna, che pensa di competere con gli Usa e la Cina a suon di “piani quinquennali” europei sullo spazio, i servizi digitali e i chip.
(A proposito: la Corte dei Conti Ue ha decretato che il fantomatico progetto Ursula per raggiungere la quota del 20% del mercato mondiale dei microchip entro il 2030 è già fallito prima di iniziare, così come fallirà il piano spaziale europeo, mentre gli Usa senza roboanti dichiarazioni puntano su Marte e padroneggiano l’Ai).
Ma torniamo agli stipendi. Certo: la responsabilità dei datori di lavoro conta, lo sfruttamento – quando esiste – è ovviamente da condannare e ogni imprenditore dovrebbe sapere che un dipendente soddisfatto rende meglio. Però qui entriamo nelle dinamiche delle singole aziende (esistono imprese, in Italia, che pagano bene e che attirano cervelli). Gli appelli generalizzati ad aumentare gli stipendi sono invece inutili: se il sistema Paese non produce ricchezza non può pensare di arricchire tutti i suoi cittadini con stipendi stellari, proprio perché il denaro non è un frutto stagionale.
Per capirlo Elly Schlein e Sergio Mattarella potrebbero provare l’ebbrezza, se non l’hanno mai fatto, non dico di costruire un’azienda ma almeno di aprire una partita iva per un paio di mesi. Sapete infatti qual è l’unico modo che è conosce un autonomo per ottenere “un giusto stipendio” o un “salario minimo”? Lavorare di più, lavorare meglio. Cioè produrre e fatturare più dell’anno precedente. Il che significa cercare nuovi clienti, innovare, inventare, battagliare sul mercato e, se necessario, sfacchinare ben oltre le 7,42 ore al giorno, andare in ufficio pure con la febbre e rinunciare a qualche festivo. Non ci sono sindacati. Non ci sono quote minime di salario. Non ci sono Capi dello Stato a chiedere aumenti per te. Che poi: ma perché le aziende private dovrebbero pagare di più i lavoratori se anche lo Stato affama i “suoi” dipendenti, come maestre e insegnanti, in nome dell’assumificio?
Giuseppe De Lorenzo, 30 aprile 2025
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