Consiglio ai sovranisti: non dimenticate le ricette liberali

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Mi permetto di inviare qualche consiglio (rigorosamente non richiesto, e realisticamente destinato a non essere ascoltato) non ai leader del centrodestra, che non ne hanno bisogno, visti gli scintillanti risultati elettorali di tutta questa fase politica, ma al variegato mondo intellettuale, di pensatori liberi, di personalità, che – in modo più o meno impegnato – offrono il loro contributo di idee a quest’area culturale.

Il centrodestra del futuro andrebbe a mio avviso aiutato a cercare nella cassetta degli attrezzi liberale, per trovarvi alcuni anticorpi sempre utili, purtroppo largamente ignorati – parole a parte – dal centrodestra del passato. Per far prevalere un approccio pragmatico; per includere (in una prospettiva fusionista), tenendo insieme storie, persone, culture; per cercare un denominatore comune, anziché sottolineare le differenze; per evitare visioni troppo ideologiche, dogmatiche, schematiche.

Giusto bastonare i liberal, i mandarini del politicamente corretto, i ventriloqui di Bruxelles e dell’austerità. Ma sarebbe il caso di non confonderli con i liberali e con il liberalismo. Purtroppo, non da ora (per una volta, ahimé, l’inglese non aiuta), il sostantivo liberalism è diventato equivoco e quasi infrequentabile, nel senso che viene declinato quasi sempre in versione liberal e di sinistra. Ma esistono anche altre cose ben diverse (e positive): un liberalismo classico, un approccio pro-mercato e pro-individuo, un thatcherismo anti-Bruxelles, un orientamento anti-tasse e pro-crescita, che sarebbe sbagliato confondere con i liberal. Meglio, molto meglio, far tesoro anche di quelle sfumature insieme conservatrici e libertarie, di quegli approcci, di quegli orientamenti. Capaci – e non è poco – di inoculare preziosi antivirus contro le malattie dello statalismo, di una mano pubblica troppo estesa, di una fiducia eccessiva nel ruolo dello stato, o di una deriva – di cui non si comprende l’utilità nemmeno sul piano elettorale – di tipo confessionale o tradizionalista.

Giusto opporsi a una russofobia ideologica e a volte settaria. Ma sarebbe il caso di non presentare l’autocrazia putiniana come modello. Suggerisco a chi forse non ci ha mai pensato di immaginarsi come oppositore o minoranza in un sistema di quel tipo: non credo si divertirebbe molto. Giusto opporsi all’ideologia gender, e a ogni tentativo di trasformare la fondamentale e sacrosanta difesa di ogni differenza, di ogni diversità, nell’imposizione (starei per dire: autoritaria al contrario) di un’omogeneità e di un’uniformità di stato. Ma sarebbe il caso di non dimenticare il valore assoluto della libertà di scelta personale, anche affettiva e sessuale, schierando in modo surreale la destra italiana su trincee ormai abbandonate da tutte le destre occidentali (e infatti, saggiamente, i leader della destra italiana si guardano bene da queste derive).

Sono solo esempi, per dire che serve… Clint Eastwood, la sua inquietudine per la libertà e per l’individuo. E naturalmente serve molto altro. Vivano più culture; ciascuno legga i libri e gli autori che gli sono più cari; ma guai a proporre una prospettiva culturale chiusa, univoca, asfittica. Non lo fece Ronald Reagan, che anzi seppe magicamente raccogliere attorno a sé, prima intorno al suo ottimismo, e poi intorno al suo buongoverno, pezzi larghissimi della società americana. E non lo sta facendo Donald Trump, così caratterialmente diverso eppure così simile a Reagan nel suo pragmatismo, nel suo realismo non ideologico. Non a caso, demonizzati l’uno e l’altro dagli stessi nemici, come spiega bene Maria Giovanna Maglie.

Sarebbe paradossale – da parte di alcuni – richiamare quei riferimenti, contemporaneamente essere maggioranza nella società, ma poi rinchiudersi in schemi troppo rigidi, e in ultima analisi asfittici e minoritari. In nome di qualche conto più o meno consapevolmente da regolare con liberali e liberalismo. Auguri, comunque, a tutti.

Daniele Capezzone, 21 gennaio 2020

Atlantico Quotidiano

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