Movimento Cinque Stelle nel caos

Conte, l’avvocato del popolo diventa l’avvocato del nulla

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Con le ultime uscite Giuseppe Conte è sicuramente ritornato al centro del dibattito politico, ma che questo arresti la débacle del Movimento è difficile crederlo. Gli elettori si sono ormai resi conto di quella che è la vera natura dei Cinque Stelle, del nichilismo politico che ne è stato la cifra quasi in ogni componente (compresa quella dello “scissionista” di Luigi di Maio) e che il già fu “avvocato del popolo” incarna alla perfezione con la sua capacità di recitare parti diverse in commedia a seconda delle circostanze.

Nichilismo politico significa che le idee, i valori, i programmi, sono per Conte e i grillini un semplice pretesto, strumentali alla conquista o al mantenimento di posizioni di potere, e quindi dopo tutto da non prendere troppo sul serio. In verità, qualche indizio doveva fare insospettire sin dagli inizi della loro avventura: le idee cardine, compreso lo stesso reddito di cittadinanza, non erano inserite in un organico sistema di idee, tanto che il partito si presentò agli italiani (prima di scegliere opportunisticamente di allearsi con la sinistra) come del tutto “trasversale”.

Ora, Conte si è presentato da Draghi con una paginetta di richieste, nove punti su cui si è detto a parole inflessibile: o il presidente del Consiglio risponde tempestivamente oppure salta tutto. Il fatto è che però Conte non sa cosa vuole veramente il suo partito, che sul governo è diviso, ma non certo per i nobili ideali di programma: l’ideale sarebbe, per lui e gli altri, uscire dal governo e nello stesso tempo agevolare la nascita di un Conte bis che porti al termine la legislatura. In questo modo, si coglierebbero due piccioni con una fava: ci si sposterebbe all’opposizione, cercando di recuperare qualcuno dei consensi perduti, e si metterebbero in condizione i deputati attuali di maturare il vitalizio e continuare a beccarsi fino all’ultimo lo stipendio. Che è un po’ come dire che si vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca.

Ecco allora che, per agevolare questa improbabile soluzione, l’avvocato pugliese si è inventato addirittura una nuova figura retorica, a cui è sottesa una concezione del tempo che ne stravolge i parametri comuni. Si tratta della tempestività non tempestiva, o dell’urgenza non proprio urgente, che fa il paio con i tanti ultimatum che sono sempre penultimatum. Uscendo dal colloquio con Draghi, Conte ha affermato che “l’emergenza che abbiamo messo in piedi non è un’emergenza che richiede attenzione immediata”. La risposta di Draghi, almeno fino a settembre. Altre volte la deadline è spostata al 31 luglio, ma comunque la linea è tanto mobile che è facilmente intuibile che della sostanza dei provvedimenti ai Cinque Stelle interessa un fico secco e che anche la risposta del premier sarà valutata non in base ai contenuti ma alle convenienze del momento.

D’altronde, un Movimento che si è bevuto tutto e il contrario di tutto pur di stare attaccato al potere, si farebbe scrupolo di restare al governo se Conte ignorasse tutti i nove punti? Oppure Conte non troverebbe qualche appiglio lessicale per dire che, in sostanza, stava scherzando? All’uopo anche il vecchi lessico democristiano può servire: Conte ha invocato da Conte “discontinuità”, anche se ai giornalisti ha fatto capire in conferenza stampa che intanto possono godersi le vacanze. Come al solito, la situazione del Paese è grave ma non è seria. Anche se una nota di speranza in tanto squallore pure sorge: più giù di così non potrà andarsi e prima o poi, Draghi o non Draghi, memori dei nostri errori nelle urne (anche se a Conte mai nessuno lo ha votato), dovremmo cominciare a risalire la china.

Corrado Ocone, 10 luglio 2022

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