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Coronavirus, le 7 lezioni che abbiamo imparato

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Diverse volte, nelle settimane e nei mesi a venire, si tireranno le somme della tragedia che stiamo vivendo. Forse una prima parziale può avanzarsi fin d’ora.

Lezione 1. Gli italiani si sono illusi che chiunque avrebbe potuto governare il Paese. Hanno voluto provare l’ebbrezza del vediamo-l’effetto-che-fa, portando in parlamento individui senza arte né parte, guidati da un invasato che con occhi fuori dalle orbite mandava tutti a vaffà, senza aggiungere altro. O, peggio, aggiungendo amenità del tipo (cito le prime due che mi vengono in mente da un amplissimo florilegio): “I rifiuti solidi urbani sono una ricchezza”, e “dove difterite e poliomelite sono scomparse, lo sarebbero state anche senza vaccini”. Possiamo essere contenti, l’effetto-che-fa lo stiamo vedendo, eccome se lo stiamo vedendo: primo Paese al mondo per morti (superati di poco dagli Stati Uniti, che però hanno una popolazione cinque volte la nostra).

Lezione 2. La scienza non è infallibile. La parola può avere molte accezioni. Io la uso quasi esclusivamente nel senso di “metodo d’indagine”, che è sicuramente il più potente che abbiamo disponibile (anche se non è il solo). Ed è il più potente perché prevede, tale metodo, di essere l’avvocato del diavolo di sé stesso. Chi s’aspetta dalla scienza l’infallibilità, immancabilmente finirà per portarsene presto fuori, perché immancabilmente verrà da essa deluso. E, date le premesse, se ne sentirà tradito. Il mondo ambientalista è sovrabbondante di siffatti individui. Se invece per “scienza” s’intende questo o quello scienziato, allora la prima cosa che bisogna tener presente è la sua natura umana, con tutti i pregi e difetti di questa natura. E bisogna essere indulgenti: solo chi non fa non sbaglia.

Lezione 3. La magistratura è un grosso problema. Qualcuno si risente che i virologi vogliano dettare i tempi di ritorno della libertà perduta. Ma quale virologo, secondo voi, dirà mai che siamo fuori pericolo? Intanto è oggettivamente impossibile dirlo. Ma anche solo “forse saremmo ragionevolmente fuori pericolo” è una cosa che nessun virologo dirà mai, neanche sotto tortura. Non abbiamo dimenticato il massacro giudiziario che hanno dovuto patire quelli della Protezione Civile che, ai tempi del terremoto dell’Aquila, s’azzardarono ad evitare d’infondere parole di panico. Quanto a oggi, fatemi capire. Nel mondo ci sono oltre 2 milioni d’infetti e oltre 130 mila morti, la metà dei quali equidistribuiti fra Usa, Italia e Spagna; e in Italia, con tutto il rispetto e ineffabile meraviglia, esiste una magistratura che addebita “epidemia colposa” a non so quale casa di cura per anziani? Non ho parole.

Lezione 4. I ministri devono essere politici, ma forse dovrebbero anche avere una qualche competenza nella materia che amministrano. Quella che il ministro ascolta gli esperti (che non di rado e per la ragioni dette sopra sono come i medici al capezzale di Pinocchio) e poi decide, mi sembra una favola. Non parlo di Conte o di Di Maio, che a chiamarli incompetenti s’offende quelli di tutto il mondo. Penso a ‘sto Speranza, che lo scorso febbraio così rispondeva a Fabio Fazio che gli chiedeva perché i cinesi avevano deciso il lockdown “anziché fare come noi”: “Guardi Fazio, sono scelte delle multinazionali. Noi escludiamo totalmente scenari apocalittici”. L’apocalisse sarebbe arrivata dopo due settimane. Graziato dalla magistratura, l’idea di dimissioni non l’ha neanche sfiorato. Non dico giganti come  Sirchia o Veronesi, ma perfino Giulia Grillo sarebbe stata in grado di comprendere e discernere tra i contraddittori pareri della pletora di consulenti ministeriali.

Lezione 5. Il mondo ha avuto difficoltà a comprendere immediatamente la gravità non tanto del virus ma della capacità dei nostri sistemi sanitari di affrontarlo. Ogni Paese ha fatto i propri errori. Certo, oggettivamente, l’Italia più di altri, visto che il modello-Conte ha battuto tutti per numero di morti. Ma gli errori sono non solo di oggi. Rammentate i compiti a casa che la Ue assegnava a Mario Monti? Diceva l’allora Primo ministro (novembre 2012): “Le Regioni dovranno indicare entro il 31 dicembre come procedere per ridurre di 30.000 unità i posti letto in ospedale fino a 3.7 ogni 1000 abitanti”. E Deborah Serracchiani (giugno 2014): “Abbiamo bisogno di una riconversione di posti-letto, tenuto conto che quelli per acuti sono utilizzati troppo poco, al 50%. In questo modo rispetteremo i parametri del governo centrale sul rapporto fra popolazione e posti-letto. L’obiettivo è tagliarne 1000 e portarli da 3.8 a 3 per 1000 abitanti”. Sergio Chiamparino (luglio 2014): “Non terremo certo aperti ospedali per mantenere il posto ai primari”. Carlo Cottarelli (agosto 2015): “Nel settore della sanità sono possibili tagli tra 3 e 5 miliardi”. La quinta lezione, allora, è la necessità di considerare la spesa sanitaria prioritaria: la qualità della sanità misura la civiltà d’un Paese.

Lezione 6. Finché non si vedono emergenze all’orizzonte, potremmo prenderci il lusso d’inventarne di comodo, come quella dei cambiamenti del clima, problema inesistente. Ma l’emergenza vera può sempre essere dietro l’angolo, imprevista appunto.  Mi chiedo, ad esempio, cosa faremo ove mai la pandemia dovesse nei prossimi mesi estendersi ad Africa e Sud America. Aver indugiato in quel lusso ci ha lasciato scoperti il fianco debole. I profeti di sventura del clima sono i responsabili dell’abbaglio e, moralmente, corresponsabili dello storno di denaro da emergenze vere a emergenze farlocche.

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