Cosa insegna la vittoria sulle riaperture

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La battuta, fulminante, è del professor Luigi Curini (Scienze Politiche, Statale di Milano), che ha invocato su Twitter il gran ritorno di Arrigo Sacchi, in risposta alla sacrosanta osservazione del direttore di Atlantico Federico Punzi, che, commentando le decisioni di parziale e progressiva riapertura annunciate nel weekend da Mario Draghi, segnalava l’utilità del “pressing”, calcisticamente parlando. E Sacchi, come ricordano gli appassionati di football, è stato il profeta dell’”aggressione” ai portatori di palla avversari.

Cosa intendo dire? In sé, gli annunci di Draghi sono il minimo sindacale: riaperture molto spalmate nel tempo, diverse incongruenze e paradossi (il coprifuoco, il passa interregionale, ecc), più un mero riconoscimento di evidenze troppo a lungo negate (in questo momento, in base ai “vecchi” parametri, già 11 regioni sarebbero “gialle”).

Eppure, nonostante la portata limitata delle decisioni comunicate venerdì scorso, politicamente parlando è cambiato il mondo. Il discorso pubblico è stato capovolto: dai protocolli di chiusura si è positivamente passati a quelli di riapertura. Lo stesso ministro Speranza, pur formalmente difeso da Draghi, è risultato commissariato e smentito nelle posizioni che aveva tenacemente sostenuto fino a poche ore prima. Peggio ancora per il Pd: perfino il giorno prima della conferenza di Draghi, Enrico Letta si era detto favorevole a riaperture solo dopo la vaccinazione dei sessantenni (praticamente un miraggio, ai ritmi attuali). E invece questi signori hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco, rispetto a una decisione opposta ai loro desideri, alla loro mentalità, al loro mindset.

E allora cos’ha portato a questo cambio di paradigma? Il pressing, appunto. Di siti come questo, animato da Nicola Porro. Di pochi e coraggiosi giornali (consentitemi, non solo per patriottismo di testata, di citare La Verità). Di un pugno di trasmissioni televisive (quasi esclusivamente sulle reti Mediaset), che hanno sollecitato e spinto per voltare pagina con ragionevolezza. Delle manifestazioni dei ristoratori. Della buona iniziativa dei governatori regionali, con poche eccezioni. E anche – né da sottovalutare né da sopravvalutare – della posizione politica assunta in particolare dalla Lega, e in misura minore da altre forze politiche.

Morale? Alzare i toni (e l’asticella) serve. La battaglia politica e culturale, perfino in un paese difficile come questo, può funzionare. Il governo si è reso conto che restare asserragliati nella trincea chiusurista era divenuta una posizione indifendibile. E dunque, dinanzi al “pressing”, ha cominciato ad aprire qualche spiraglio.

Dunque, abbiamo una ragione di più per insistere, per portare argomenti, per andare all’attacco delle contraddizioni illiberali che sono rimaste in piedi.

È il momento di elaborare un lutto (per chi non l’avesse ancora fatto): tranne rare eccezioni, chi ci governa (ma pure chi si oppone), chi gestisce la comunicazione in Italia, non ha istinti liberali. Al contrario: il loro primo riflesso è quello illiberale, anti-individuo, anti-iniziativa privata. Ogni atto normativo non è concepito in chiave di incoraggiamento e impulso al singolo, ma come limitazione, come “riduzione del danno”. Questi signori, anziché riconoscere libertà pre-esistenti, pensano di poterle concedere. E noi stessi, ormai mitridatizzati al veleno illiberale che ci viene inoculato, potremmo essere tentati di ringraziare per quel minimo di libertà che ci siamo ripresi.

Occorre essere consapevoli di questo stato di cose. E continuare a batterci nella direzione giusta: senza falli di frustrazione, e senza inasprire le posizioni per rabbia. Portando argomenti, razionalità, e anche un po’ di sorriso. Facendo pressing.

Daniele Capezzone, 19 aprile 2021

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