Covid e libertà, così nascono i nuovi totalitarismi

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psicologia del totalitarismo

Psicologia del totalitarismo, di Mattias Desmet, professore di Psicologia clinica in Belgio (La Linea, traduzione di Pietro Pane, con una buona bibliografia) prende a prestito la folle corsa dei governi occidentali a limitare le nostre libertà durante la pandemia per realizzare un trattato sulle nuove forme di totalitarismo, che non è «un accidente della storia, è la conseguenza logica del pensiero meccanicista e della fede illusoria nell’onnipotenza dell’intelletto umano».

Desmet non critica il metodo scientifico, non ritiene ci sia stata una grande regia, ma ragiona, applica un modello psicologico al funzionamento delle masse, e trae una lezione delle dittature del Novecento, per spiegare il rischio che stiamo correndo. «L’interferenza dei governi nella vita privata degli individui era un fenomeno in crescita, si riduceva il diritto alla privacy, in particolare dopo l’11 settembre, le voci dissonanti erano sempre più spesso censurate e sanzionate – soprattutto nel contesto del dibattito sul clima -, l’invadenza dei servizi segreti cresceva in misura esponenziale e così via. E tutto questo non riguardava solo la sfera pubblica. Con l’affermarsi del politically correct e del movimento per il clima, anche la gente comune aveva cominciato a invocare misure autoritarie straordinarie: il terrorismo, i cambiamenti climatici, il maschilismo violento e alla fine anche i virus erano ormai percepiti come fenomeni troppo pericolosi per essere affrontati con mezzi ordinari».

E ancora: «Le dittature si basano su un meccanismo psicologico primitivo, ossia la paura che un regime dittatoriale incute nel popolo. Lo Stato totalitario, invece, si fonda su un processo psicologico potente, che è quello della formazione di massa. Solo approfondendo la natura di tale processo si comprendono le caratteristiche, altrimenti inspiegabili, di una popolazione “totalitarizzata”: completa disponibilità a sacrificare i propri interessi personali per solidarietà con la collettività (la massa), intolleranza verso le voci dissidenti e disponibilità a un indottrinamento e all’ascolto di una propaganda senza logica (pseudoscientifica).

La formazione di massa è essenzialmente una forma di ipnosi collettiva… È un processo subdolo di cui la popolazione diviene preda inconsapevolmente…». Ma chi intravede in Desmet l’alfiere di qualche teoria complottista o di un atteggiamento confusamente antiestablishment sbaglia: «Nei confronti dei leader della massa si manifestano frequentemente due atteggiamenti psicologici contrapposti: o si nutre un’incrollabile fiducia in loro (e si entra a far parte della massa) oppure se ne dubita in modo radicale e si sospetta che, volenti o nolenti, essi stiano mettendo in atto un piano sciagurato (ossia siano dei cospiratori). Entrambe queste posizioni estreme poggiano in un certo senso sullo stesso malinteso, che è quello di attribuire ai leader una conoscenza (e un potere) eccessiva».

Nicola Porro, Il Giornale 7 agosto 2022

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