Covid, il libro che spiega come mai abbiamo rinunciato alla libertà

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Lo stato d’emergenza è terminato. Da ieri non è più necessario il green pass base per entrare negli uffici pubblici, nei negozi, nelle banche, alle poste o dal tabaccaio. Finalmente sarà possibile alloggiare liberamente in hotel e nelle strutture ricettive in genere, mangiare nei ristoranti all’aperto ed accedere alle piscine all’aperto. Via libera anche per musei e biblioteche, si potrà andare dall’estetista, dal barbiere, dal parrucchiere senza la certificazione verde. Purtroppo resta obbligatoria fino al 30 aprile la mascherina al chiuso e la Ffp2 per salire sui mezzi di trasporto pubblico locale.

Ripartenza a tratti, infatti, per aerei, treni, traghetti, pullman intra-regionali resta l’obbligo del green pass base. Certificazione base prevista anche per i ristoranti al chiuso, concorsi pubblici, spettacoli teatrali, spettacoli all’aperto con obbligo d’indossare la mascherina Ffp2. Per quanto riguarda le feste al chiuso, le discoteche, convegni, congressi, palestre, sale scommesse, centri benessere è necessario il super green pass. Stop alla quarantena per chi entra in contatto con un positivo al Covid-19, ma resta l’autoisolamento per chi ha contratto il virus fino a tampone negativo da eseguire dopo almeno sette giorni, o dieci per i non vaccinati. Il 1° maggio dovrebbe essere eliminato l’obbligo del green pass e del super green pass e l’uso delle mascherine. In questo scenario di libertà perdute e solo parzialmente riconquistate è necessario comprendere nel profondo le dinamiche sociali che hanno prodotto l’annullamento delle libertà fondamentali ed individuali in nome di una pandemia, senza considerare la libertà e la salute aspetti complementari della vita.

Di recente ho letto un libro molto interessante del 1967 intitolato: La storia di Gesù Cristo. In questo testo l’autore analizzava il ruolo del cristianesimo nella società moderna ed in un certo senso “profetizzava” quello che abbiamo vissuto dal punto di vista dell’atteggiamento da parte della maggioranza della popolazione. Vi riporto fedelmente una piccola parte significativa dell’opera: “Che cosa può dire la Passione di Gesù Cristo a una gioventù moderna che, se crediamo alle recenti inchieste, è sempre più attratta dal confort, dal denaro, dalla sicurezza economica, dal conto in banca, dall’automobile, dal televisore, dal frigorifero e dalla lavatrice; a una gioventù che non crede più nella politica né all’amore (tutt’al più crede nel piacere, nella passione no di certo); a una gioventù che adora – vera idolatria – la scienza e considera in genere l’indifferenza religiosa come un’igiene consigliabile per la mente, e un’economia del cuore? Quando una religione come la nostra insegna che il dolore è un segno sacro di predestinazione dell’uomo e che la morte può diventare strumento di redenzione, che posto potrà mai avere in una società che del peccato ha perduto perfino la nozione, che è decisa ad eliminare a tutti i costi la sofferenza, che guarda alla morte come una spiacevole ma naturale conseguenza della materialità dell’uomo, come il suo logorio ultimo, l’eliminazione per vizio di funzionamento?

Del resto è più facile sostituire un uomo che cambiare automobile. Il valore individuale, che pretende anzi di essere infinito, della persona umana, suona ridicolo in un mondo che si ritiene molto più minacciato da un aumento demografico galoppante che da qualsiasi altra calamità, eccettuata forse la catastrofe nucleare. Nella nostra società di tranquillanti, sonniferi e di alcool, di eutanasia più o meno confessata, di assicurazioni di ogni genere, il dolore e la morte sono incidenti disturbatori, inevitabili forse per il momento, ma in ogni caso intollerabili e perfino indecenti. Non usa più soffrire. Morire, poi, è un atto asociale, inutile, spiacevole e noioso per tutti. Non ci manca molto per arrivare a far come quelle società primitive che trasportavano i morenti perché non contaminasse il villaggio. La nostra messinscena della morte, dei funerali, delle esequie trasuda menzogna. È talmente incrostata di reticenze, di allusioni, di preterizioni, di magniloquenza, di puritanesimo e di laidezza, che si finisce per chiedersi di cosa si tratti realmente.

In realtà si tratta di distrarsi dalla morte, di distrarsene fino all’ultimo, di guisa che la sua venuta per ciascuno di noi sia il più possibile discreta, sia come un’ultima distrazione cui si cede macchinalmente come ci si sbaglia di cappotto nel guardaroba. Abbiamo svuotato la morte del suo grande e solenne interrogativo, ed evitiamo con ogni cura che il suo freddo sguardo si posi su di noi. In queste condizioni la religione cristiana non ha ormai più che quell’unico posto che sembra ancora rivendicare per sé e che le si lascia volentieri fra le altre imprese funebri: è un’assicurazione, e naturalmente gratuita, sulla morte e sull’aldilà che del resto è ipotetico. I suoi preti son vestiti in modo tale da sembrare che abbiano scelto loro stessi di classificarsi nella categoria dei beccamorti. Questo nelle società occidentali che vagamente pretendono ancora di essere cristiane”.

Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere la reazione di gran parte dei cittadini italiani davanti al pericolo della sofferenza e della morte. Quindi è auspicabile che unitamente al ripristino delle libertà fondamentali, possa iniziare una trasmutazione dell’animo umano sul piano sia personale che collettivo al fine di avviare l’edificazione di una società capace di offrire un reale benessere diffuso e  che sia pronta ad affrontare le difficoltà future della vita con maggiore serenità.

Carlo Toto, 2 aprile 2022

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